Il Var è un fenomeno televisivo che non tiene conto di chi è allo stadio e attende minuti interminabili per una decisione
Il Var è divisivo. Per alcuni è una piaga, complici i molteplici errori che ci sono stati durante gli anni. In Premier League si voterà per abolirlo o meno. Sebbene sia impossibile che i club votino affinché venga abolito, questa situazione ha portato il Guardian a fare delle riflessioni con Jonathan Wilson.
“Gli addetti al Var sono diventati come i sacerdoti di una setta fondamentalista, a caccia spietata del peccato per poterlo punire. Non importa se il pallone viaggiava ad alta velocità e se ha subito una deviazione clamorosa a quindici centimetri da voi prima di colpire la vostra mano davanti al corpo, la colpa deve essere espiata con un rigore. Non chiedetevi perché gli dei lo richiedano, limitatevi a offrire il sacrificio richiesto”.
Uno dei problemi più grandi, sottolinea Wilson, è la differenza di percezione del Var da parte di chi è a casa e di chi invece guarda le partite allo stadio: “Ma prima dei dettagli, c’è qualcosa di molto più fondamentale che funge da utile indicatore della direzione di marcia del calcio nel favorire sempre più gli spettatori televisivi rispetto ai tifosi allo stadio. Per questi ultimi, il Var è terribile. Non si tratta solo della perdita di spontaneità, del fatto che è più difficile impegnarsi nella celebrazione di un gol senza sapere se qualche distante spettatore potrebbe toglierlo; si tratta dei lunghi minuti di attesa, senza nulla da guardare se non i giocatori, prima di una decisione che non viene mai comunicata correttamente”.
Il Var è un fenomeno televisivo che non tiene conto di chi è allo stadio
“Il Var è un fenomeno televisivo“. Sul campo “i tifosi possono inveire contro le decisioni, ma raramente hanno la certezza che siano sbagliate. Sono coloro che hanno visto più replay a chiedere che l’ingiustizia sia riparata.
L’esperienza del Var per coloro che guardano (ndr le partite) su uno schermo è buona; vedono varie angolazioni, le linee di fuorigioco tracciate, hanno almeno una comprensione generale del processo. Per chi assiste raramente alle partite – anche per i giornalisti che hanno i monitor accanto a loro – è facile dimenticare quanto sia negativa l’esperienza per i tifosi, molti dei quali spesso hanno pagato cifre straordinarie per i biglietti”.