L’argento europeo sui 100 metri a La Stampa: «Il razzismo è un problema che non si supera mai del tutto»
La Stampa intervista Ali, l’atleta italiano che ha vinto l’argento nella corsa sui 100 metri agli Europei di Roma, facendo doppietta con Jacobs che vinto l’oro. L’intervista è di Giulia Zonca che scrive:
“Poi ha ritirato fuori gli auricolari e, come sempre, ha letto le due parole sulla custodia: «Ali Bomaye»” che è il grido dei tifosi di Muhammad Alì a Kinshasa nello storico incontro del 1974 con Foreman.
Ali Bomaye: Ali uccidilo.
«Un modo per sostenerlo,“forza massacralo”, era per dargli forza, per dire “ricordati chi sei”. Io lo sento così».
Ha visto i video dei suoi incontri?
«Moltissimi. La boxe mi appassiona, ha lo ha lo stesso spirito dei 100 metri».
Ali è una voce politica. Oggi il mondo ha ancora bisogno di campioni militanti?
«Lui stava con Malcom X, per quel che ho capito, l’uomo che sposava la linea più aggressiva contro il razzismo rispetto a Martin Luther King. Ali aveva idee chiare e le difendeva, ha una storia che mi affascina, era un tipetto tosto (ride) e non a caso è considerato lo sportivo più influente, perché lottava per i diritti degli afroamericani: bisogna avere una certa statura per fare i suoi discorsi».
Quel razzismo è superato?
«È un problema che non si supera mai del tutto, ma non so se la via tanto arrabbiata oggi sia giusta. Non sono abbastanza informato e non mi esprimo mai su cose che non ho compreso fino in fondo. Il Black Lives Matter lo condivido, ma mi fermo lì».
Si è mai sentito discriminato?
«Insulti sì, ma non in faccia. Tanti via social, però per strada, anche chi la pensa a quel modo e mi guarda a quel modo non mi dice niente».
Ali e i genitori
Forse hanno paura, lei è alto 1 metro e 98.
«Se hai delle opinioni ti confronti, invece apparentemente tutto tranquillo. So che sotto la realtà è diversa, esiste la diffidenza e il pregiudizio. Per me solo quello che è esplicito e non credo di intimorire. La dialettica non ha bisogno di muscoli».
È nato in Italia, padre ghanese, madre di origini nigeriane ed è cresciuto con una famiglia affidataria di Como. Infanzia complicata.
«Mio padre non lo conosco, non ho memoria di lui. Mia madre, con cui sono ancora in contatto, anche senza scambi frequenti, oggi sta in Svizzera. Considero genitori i due meravigliosi signori che chiamo zia e zio e ci sono stati sempre. Mi venivano a prendere al nido. Erano amici di mia madre, sono diventati subito figure di riferimento. I figli sono di chi li cresce».