“Noi non parliamo di politica, solo di calcio”. La Figc avrebbe imposto conferenza riparatrice, per par condicio. “Noi” siamo amici di tutti, fratelli d’Italia
Fosse capitato a Gravina, un capitano della Nazionale che – d’emblée – va in conferenza stampa a fare campagna elettorale, ora staremmo pubblicando il coccodrillo del presidente della nostra Federcalcio venuto a mancare per un coccolone improvviso. Nel frattempo la macchina “endofederale” avrebbe convocato una conferenza di riparazione, e piazzato davanti ai giornalisti un centravanti qualunque a perorare la causa dell’altra parte politica. Mbappé invita a votare contro Le Pen? E allora ecco un Giroud che endorsa il Rassemblement National.
Ma tranquilli, è distopia. Capitan Donnarumma manco con l’arbitro può parlare, ha delegato Jorginho. E il capitano dell’Europeo precedente, Chiellini, è passato alla storia per la promessa di “fare qualcosa contro i nazisti” mentre i suoi compagni (non) s’inginocchiavano in ordine sparso per il Black Lives Matter. Spoiler: non ha fatto niente, intanto s’è ritirato. Nascosto dalla coltre di paillettes della festa, resiste il cadavere mummificato di quella figuraccia: gli Azzurri tentennanti, alcuni genuflessi, altri no, qualcuno ad accennare uno squat parecchio impacciato: era solo riscaldamento, che volete da me?
L’Equipe stamattina si gode questa “intersezione” di eventi epocali: l’Europeo dopo le europee, senza compartimenti stagni. I giocatori che si scoprono esseri umani, e non alieni qualunquisti. Come ha detto Mbappè? Ah sì: “Siamo prima di tutto cittadini”. Gente che espone opinioni: non arrendiamoci all’estrema destra. Ma di che parlano?
Da queste parti il calcio è l’ultimo territorio davvero neutrale della Terra. Le uniche minoranze sono quelle solitamente “sparute”, “di cretini”. Il resto è retorica plasticosa, risposte scongelate e tutto l’armamentario di invisibilità che insegnano fin dalla scuola calcio. Restiamo urlatori invasati dell’inno: stringiamci a coorte, che siam pronti alla morte (SÌ!) ma non a prendere una posizione plateale (NÌ’!). Che sia razzismo, omofobia, diritti, elezioni: siamo italiani e giochiamo a pallone. Stop.
Frattesi ci ha riportato all’Italia che conosciamo, all’Italia di Gravina
E infatti quando sul tema un giornalista ha teso un mezzo agguato (siamo ironici) alla conferenza di Frattesi (ha fatto una domanda, quel senzadio), immediatamente è scattato il responsabile della comunicazione della Nazionale: “Noi non parliamo di politica, noi parliamo di calcio“. Frattesi – l’altra parte del “noi” – ha ammorbidito: “Credo sia giusto esprimersi, ognuno deve portare avanti i propri ideali. Però non ho seguito la vicenda. Ognuno è libero di esprimersi nel rispetto di tutti“. Amen.
Lasciamo lo sport fuori dalla politica, è un tormentone. E noi siamo fuoriclasse: qui dabbasso non può sfuggirci l’occasione di mimetizzarci nell’endemico ponziopilatismo. Thuram e Mbappé facciano come credono (ma anche i nazionali georgiani, che lottavano settimane fa contro la “Putinizzazione” del loro parlamento) sono stranieri: non sanno campà, non hanno il bidet.
L’Italia invece è orgogliosa della sua anima democristiana, per questioni d’opportunità e d’opportunismo. Quando “scende in campo” la Nazionale, non è mai una metafora: è solo una partita, due calci a un pallone, e tre interviste ruminate chissà quanto. Potessero farlo, i nostri si fingerebbero morti al fischio finale, come undici opossum, pur di non dover testimoniare al mondo – ogni volta, con malcelato imbarazzo – che siamo italiani mica per caso: “noi” siamo amici di tutti, fratelli d’Italia.