Al Paìs: “Quanti passaggi, quanti chilometri. Le carenze sono emotive, non tecniche. È tutto così, oggi ci sono più clienti che tifosi”
“Il mondo è una merda”. Parola di Jorge Sampaoli, ct feticcio di un certo pallone passato per due nazionali, Cile e Argentina, e 13 club tra America ed Europa. Uno che si concede pochissimo, ma poi quando parla… beh, parla. Lo ha fatto stavolta con El Paìs.
Dice per esempio che se oggi lo stile di gioco conta meno è anche “perché ormai ci sono più clienti che tifosi. Molte volte penso che devi essere pazzo per essere un allenatore di calcio perché ti fanno impazzire. Un giorno a Siviglia dissi che stavamo vivendo il momento di più grande stupidità della storia dell’umanità. Onestamente, penso che il mondo oggi sia una merda”.
“Oggi guardo le partite, ma non guardo il calcio. Quando parlo di gioco parlo di una sincronizzazione dei calciatori che devono pensare più agli altri, alla squadra, che a se stessi. Mi piace il gioco di posizione. Per me il calcio è tempo. Il tempo passa. E per risparmiare tempo bisogna avere giocatori disposti a posizionare i rivali a diverse altezze per garantire che la palla vada a chi ha più tempo tra tutti. Ma nella dinamica dell’isteria che esiste, è molto difficile per i giocatori mantenere una posizione di attesa. Vogliono partecipare perché altrimenti non figurano nelle statistiche: oggi non ho toccato palla, ho fatto pochi passaggi… Senza ricevere palla crei una distrazione causando danni al tuo avversario, ma il giorno dopo vedi che non sei nelle statistiche e soffri molto”.
Sampaoli e i calciatori che oggi vivono in prigioni vip
“Finisci la partita e i giocatori vedranno i chilometri o gli assist che hanno realizzato. L’ego e l’auto-salvezza di coloro che si sono distinti in una partita quel giorno li fanno sentire sollevati, nessuno li condannerà. Ora il virtuale ha preso il sopravvento sulle persone. In rete il giocatore vive in un luogo di giudizio costante dove le persone esprimono tutto il loro risentimento e dolore”.
Sampaoli dice di sentirsi “un avventuriero”: “Quando vinco le partite senza dominare, il giorno dopo mi sento triste. Sono venuto dal nulla e ho dovuto conquistare tutto. Non avevo cognome, non era nessuno. E ho avuto modo di giocare due Mondiali”.
“Oggi le carenze non sono tecniche. Sono emotive. Il mio team tecnico pianifica in modo esagerato. Creiamo cicli settimanali, mensili, semestrali e annuali. I progetti servono a rassicurarti come allenatore. In modo che tu dica a te stesso: ho fatto tutto. A volte non devi fare tutto, devi fare ciò che è appropriato. Molte volte guardiamo noi stessi senza guardare ciò di cui hanno bisogno i calciatori”.
“Negli anni in cui nessuno ride, la risata vale molto. La pandemia ci ha bloccato. Molte volte voglio vedere film comici e faccio fatica a trovarli: il mercato delle commedie è scomparso. Adesso si producono fiction, polizieschi, documentari… Negli spogliatoi arrivano tutti con le cuffie, con il cellulare. I giocatori sono stati collocati in un luogo dove la felicità derivante dal giocare a pallone non esiste. C’è l’obbligo di vincere affinché l’azienda possa andare avanti. Hanno soldi ma non sono liberi. Vivono in prigioni Vip. Sono più inseriti nel virtuale che nel reale. Il mio compito è cercare di liberarli. Far capire loro che il calcio è un gioco. È l’unico sport in cui il più delle volte non vince il migliore”.