La faccia terrorizzata, in panchina, dopo aver visto un suo compagno sparacchiare un pallone. Aveva capito tutto. Prima di Calafiori
I campioni, i fuoriclasse, lo sanno. Annusano il gioco, intercettano il flusso del tempo e dello spazio. Funzionano con unità di misura non quantificabili, per noi mediocri esseri umani. Modric lo sapeva. Aveva capito. Soffriva già. Modric ha subito il gol di Zaccagni almeno 20 secondi prima dei compagni, dell’allenatore, dello stadio.
Sul suo fuso orario – un posto abitato da pochissima gente – il compagno innominabile che scaraventa lontano un pallone che invece lui avrebbe messo in cassaforte – mancava un minuto alle fine degli otto di recupero, era fatta! – ha già commesso il suo reato. Modric è lì parcheggiato in panchina dall’80’, perché Dalic – confesserà poi alle autorità competenti, i giornalisti – voleva inserire “uno più fresco”. Sta osservando un’altra partita, Modric. Una evoluzione della realtà. E’ mezzo minuto avanti, nel futuro.
Al minuto 7:07 oltre il novantesimo di Italia-Croazia le telecamere della Rai – con fortunatissimo senso della cronaca – indugiano su di lui. Ha l’espressione terrorizzata di uno che alle tue spalle, fuori dalla cornice dello schermo, vede arrivare la risacca di un’esplosione nucleare. Uno scarto sensoriale che buca la quarta parete. Lo spettatore – ormai sfranto, già pronto a calcolare la differenza reti che ci avrebbe ignominiosamente qualificati a dispetto della sconfitta – risponde come ad un riflesso, per autoconservazione: “Che diavolo sta succedendo? Che ha visto Modric che io non vedo?”.
Stacco dalla regia sul campo: Calafiori è ancora nella metà italiana, non ha ancora cercato il triangolo con Frattesi, non ha trovato il passaggio a sinistra per Zaccagni. Il tiraggiro non è ancora in rete. Ma Modric ha già capito che è finita. Aveva già masticato il sapore acidulo della sconfitta qualche istante prima. Rumina. Morde la maglia sudaticcia. Non teme, no: va incontro alla certezza istintiva che il suo ultimo Europeo sia già chiuso. Calafiori è su un binario del destino che noi non percepiamo, ma lui sì. Il superpotere del fuoriclasse gli si ritorce contro. Una tortura.
Mentre gli italiani si accartocciano uno sull’altro, a bordo campo, la regia torna – tv del dolore in purezza – su Modric. Minuto 7:50. E’ seduto, braccia conserte, una mano sul lato della bocca, la testa si scuote per un frame appena. Sapeva. Affronta l’inevitabilità di quel piccolo lutto, lo elabora mentre i compagni sono nel pieno del trauma. Era già finita quando ancora non era cominciata. Modric era tornato al futuro. Ed era un futuro spaventoso.