La frase sulle pippe ha chiuso il periodo dell’untuosità. Non se ne poteva più. Farà bene sia alla Nazionale sia al giornalismo. Addio sindrome di Vigo
Sono finite le sdolcinatezze per Spalletti, siamo quasi a Vigo 82 e francamente è meglio così
È finito il miele per Luciano Spalletti. Ce ne siamo resi conto leggendo i quotidiani di questa mattina. Già Aldo Grasso ieri sera a Sky Sport ne aveva stroncato la comunicazione, quel fare da predicatore di cui scrivemmo sul Napolista. Bisogna compiacersi di questo clima. È finalmente terminato quel tepore quirinalizio che aveva avvolto il ct della Nazionale (e che ormai avvolge quasi tutti gli allenatori): sdolcinatezze, parole al miele, fuga dalla realtà. Quella sparata nei confronti del giornalista, quella sulle pippe, ha provocato la reazione della categoria. E ora siamo in una sorta di far west che ci ricorda Vigo 82 quando la Nazionale di Bearzot era bersagliata e nacque il silenzio stampa (anche per l’allusione a Rossi e Cabrini che stavano mano nella mano). È ora di mettersi alle spalle la sindrome di Vigo, quella per cui non si può criticare perché poi se la Nazionale o la squadra in questione vince, è una figuraccia. Non è nessuna figuraccia. Quando si deve criticare, si critica.
Secondo noi questo cambio di scenario è positivo. Molto positivo. Innanzitutto perché basta con la sacralità degli allenatori. Che siano di club, della Nazionale, o di quartiere. Non se ne può più. Vengono trattati con i guanti manco avessero salvato le sorti dell’umanità. Si parla di calcio. Si pone la domanda e arriva la risposta. Francamente sarebbe doveroso introdurre una novità: il microfono non si abbandona finché non è terminata la risposta. Perché magari anche il giornalista potrebbe dire la sua sulle pippe. Giusto per fare un esempio. Ma non è una posizione corporativa. Fa bene a tutti, anche agli allenatori. A Spalletti come ad altri. Dica e dicano quello che pensano, come ha fatto il signor Luciano l’altra sera a Sky in maniera del tutto civile e consona. Alzi pure la voce. Ben venga. Basta col teatrino dell’ipocrisia. Un po’ di carne viva non fa male a nessuno. Tantomeno al ct e alla Nazionale. Senza esternazione della rabbia, viene la piorrea.
Spalletti vinca e faccia il gesto dell’ombrello
I giornalisti facciano i giornalisti. Anche quando diciamo e scriviamo cazzate. Sempre meglio dell’insopportabile untuosità che rende indigeribile la visione e l’ascolto di qualsiasi intervista. E poi se Luciano dovesse vincere (il tabellone si è messo bene), alla fine potrà imitare Alberto Sordi ne “I vitelloni”: «Lavoratori…» e giù di gesto dell’ombrello (solo la prima parte della scena). Fa parte del gioco. È giusto così. Noi giornalisti non dobbiamo partecipare della vittoria. Possiamo tifare (e lo facciamo) ma poi torniamo al nostro ruolo. Altrimenti il tutto si trasforma in una di quelle pappine indigeribili.