A Dimaro è l’unico protagonista. Il popolo obbedisce. Senza di lui, la piazza è vuota. Aurelio è in disparte, sono lontani i proclami da duce
Conte è il sole attorno a cui ruota il pianeta Napoli
Dimaro. Scene da un castigo. L’allenamento della mattina è finito e il tifoso su una sedia a rotelle, a bordo campo, chiede un selfie ad Antonio Conte. Il mister manager sorride e si mette in posa. Poi il tifoso vorrebbe proseguire la sua galleria con alcuni giocatori. Ma Conte indurisce la faccia e risponde secco: “No, con loro no”. Come in un castigo, appunto, in cui i castigati sono i giocatori, non il tifoso.
A Dimaro picchiano due soli, in senso astronomico. Uno, ovviamente, è quello che dà il nome alla valle trentina. L’altro è il nuovo allenatore, un tempo odiato da queste parti, oggi amato e venerato. Ma Conte non ha la faccia del santo buono e misericordioso. Anzi. È il contrario. L’uomo del sud pugliese (lo ha rimarcato egli stesso nella conferenza stampa di Palazzo Reale, a fine giugno) è come se vestisse gli abiti, a lui più adatti, di un grande fustigatore modello Savonarola. Per la serie, parafrasando “Non ci resta che piangere”: “Ricordati dell’anno scorso e ricordati che devi espiare”. Del resto la maglietta più venduta è proprio la sua, anche perché è quella meno cara, 25 euro, nello store davanti al campo di Carciato. Ci sono il volto contiano stilizzato e la scritta che è stato il suo imprinting napoletano: “Amma faticà”. Non c’è bisogno di tradurre.
“Amma faticà” è l’imperativo che ha trasfigurato questa edizione 2024 di Dimaro in una sorta di grande ritiro punitivo dopo l’osceno disastro della stagione passata: decimo posto e fuori dall’Europa, tre allenatori, azzurri zombificati. E i tifosi sorpresi e speranzosi quasi godono a vedere i giocatori stremati dopo una sessione infinita di corsa sotto il sole. Oppure assistono silenti e sorridenti ai cazziatoni di Conte durante le esercitazioni del pressing, difesa che deve uscire e attaccanti e centrocampisti in pressione. L’allenatore è il Grande Castigatore al centro di tutto.
No Conte, no piazza piena
Seconda scena, domenica sera nella piazzetta di Dimaro, un’ora prima della finale degli Europei tra Spagna e Inghilterra. In origine era prevista un’intervista pubblica con l’allenatore e quattro giocatori. Ma Conte fa sapere che non ci sarà e la piazza si deve accontentare di Politano, Ngonge, Rrahmani e Mazzocchi. Risultato: la piazza è vuota per tre quarti. Non solo. Tutte le domande dei tifosi, piccoli e grandi, girano in maniera ossessiva attorno al Buco Nero post-tricolore: “Ma cosa è successo?”. Lo squarcio è ancora da suturare e così il Castigatore diventa anche chirurgo. Ed è per questo che i cori sono esclusivamente per lui. E lui ricambia facendo autografi e selfie. Domenica pomeriggio, nella tribuna laterale, un gruppo di tifosi di Piacenza ha cantato solo per “Antonio”, reclamando un saluto finale. Lui era in campo e ha alzato un braccio.
È il Contecentrismo bellezza, e tu non puoi farci niente. Nemmeno il Presidente. Aurelio non è più Duce e si è messo in disparte, come un gregario. Due anni fa, durante l’infausta estate degli A16 filo-Mertens e filo-Insigne, si nascondeva. Un anno fa, invece, la delirante rivincita scudettata con Dimaro trasformata in uno show permanente come il terzo Rocky, quello che perse gli occhi della tigre.
Il baraccone non c’è più, Antonio lo ha smontato
Ecco, quest’anno il baraccone non c’è più. Conte lo ha smontato. E senza avvisare. Ogni allenamento inizia a porte chiuse e non si sa mai quando si aprono i cancelli. E il popolo non si lamenta. Ordinato e sudato aspetta senza inveire o lamentarsi, “come se prendesse le distanze da se stesso”, dice Guido Ruotolo. E poi basta con la folla del vippume a bordo campo e basta con il figlio esuberante del Presidente, come ha scritto già il Napolista.
Sì, anche l’inedito Aurelio low profile è vittima contiana di questo grande ritiro punitivo. Stavolta il santificato, sul campo, non è lui. Altro che magliette autografate Adl e in vendita a 175 euro come l’anno passato. Sinora una sola timida capatina a Carciato, sempre domenica. Era di mattina e lui ha promesso di tornare nel pomeriggio. Non è successo.
Sull’altare c’è un solo uomo e si chiama Antonio Conte. Non era mai accaduto in modo così assoluto. Neanche con il Comandante dell’Estetica, cui a Napoli sono stati dedicati murales e statuine. Sono i paradossi meravigliosi del fato pallonaro. Il Comandante perse aureola e verginità populistica traslocando a Torino. L’odiato Conte ha fatto il viaggio inverso e ha creato una nuova fede.