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Schwazer, l’amaro ritiro dalla marcia di Trento: «Sapevo di non stare bene, ma sarei venuto anche con una gamba sola»

La Stampa racconta la serata di ieri. «Da tre settimane ho problemi alla schiena. Volevo che i miei figli mi vedessero almeno una volta durante una gara»

Schwazer, l’amaro ritiro dalla marcia di Trento: «Sapevo di non stare bene, ma sarei venuto anche con una gamba sola»
archivio Image / Sport / Alex Schwazer / foto Imago/Image

La Stampa racconta il ritorno amaro di Alex Schwazer, che è stato costretto a ritirarsi dalla sua ultima marcia a Trento a causa della sciatalgia.

La Stampa scrive:

“Quando Alex Schwazer arriva allo stadio di Arco di Trento sono le 18: 30, nel chioschetto dei panini hanno appena messo a sfrigolare salamelle e porchetta. Cinque euro al pezzo, peperoni e cipolle inclusi. Il primo tifoso che lo riconosce si arrampica su una balaustra e gli urla il più classico dei «non mollare mai». E via con gli applausi. Il secondo opta per una considerazione tecnica: «Sei magrissimo».
Tutti i presenti annuiscono, nessuno applaude. I ragazzini si rincorrono: «È lui, è lui, è arrivato». Si può cominciare. Alex Schwazer l’aveva immaginata proprio così: una serata di festa, semplice, in famiglia. «Per ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicini
in questo doloroso e infernale percorso». Ma anche per tanti altri motivi. Per celebrare la fine della squalifica durata otto anni, per congedarsi dal mondo dell’atletica, per mostrarsi almeno una volta ai figli con un pettorale addosso. Sì perché Ida (7 anni) e Noah (4) sono figli di un campione olimpico, ma non hanno mai visto papà gareggiare”.

Schwazer: «Volevo che i miei figli mi vedessero almeno una volta durante una gara»

Il ritorno è stato tutt’altro che perfetto. Schwazer infatti è stato costretto al ritiro.

Alex costretto a ritirarsi a due terzi di gara, prima di completare il chilometro quattordici sui venti previsti. «Sapevo di
non stare bene – confessa subito dopo lo stop –, ma volevo questo giorno più di ogni altra cosa, non avrei rinunciato per niente al mondo. Volevo che i miei figli mi vedessero almeno una volta durante una gara».
Riscatto, commiato, resa, rivalsa. Quando scatta lo start non si capisce bene quale sia il sentimento prevalente nell’afa che attanaglia una serata trentina uguale a tante altre, con i bimbi dei centri estivi che lasciano l’impianto chiedendo chi sia quel ragazzo dal nome straniero, i giocatori di padel ignari di tutto che sbraitano attorno alla pista, la coda di vacanzieri sull’Autostrada del Brennero,
a due passi da qui. «È una festa» ripetono tutti, «divertiamoci». Non proprio la classifica festa, ecco. Si sarebbe potuto mettere musica,
distribuire pizzette e spiedini di frutta, passargli un microfono e urlare «discorso».

Quando il cronometro segna un’ora e tre minuti e il tachimetro quasi quattordici chilometri, arriva la resa. Il marciatore prende il microfono e spiega: «Da tre settimane non riesco ad allenarmi per problemi alla schiena, ci ho provato fino alla fine, mi dispiace tanto, sono arrivato fino dove ho potuto». Silenzi, sguardi increduli. Gli occhi che prima ridevano adesso grondano di lacrime. Compresi quelli della figlia Ida e della moglie Kathrin che insieme al piccolo Noah sono tra i primi a raggiungerlo al centro della pista. Un abbraccio struggente il loro, un abbraccio muto ma che dice tutto. «L’avevo promesso, sarei venuto qui anche su una gamba sola, ma questa non era più marcia»“.

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