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Di Francisca: «Il buonismo non è la mia filosofia. È la sofferenza che prepara alla vita, non l’accontentarsi

Al Corsera dopo la polemica con Pilato: «Ho avuto un padre severo, oggi i genitori sono accondiscendenti. Vedo in pochi la feroce determinazione agonistica»

Di Francisca: «Il buonismo non è la mia filosofia. È la sofferenza che prepara alla vita, non l’accontentarsi
Italy's Elisa di Francisca reacts after beating Tunisia's Ines Boubakri in their women's individual foil semi-final bout as part of the fencing event of the Rio 2016 Olympic Games at the Carioca Arena 3 in Rio de Janeiro on August 10, 2016. (Photo by Kirill KUDRYAVTSEV / AFP)

Elisa Di Francisca. In fin dei conti è stata lei la grande protagonista delle Olimpiadi. Lei con quelle parole su Benedetta Pilato che definiva il quarto posto il giorno più bello della sua vita. Al Corriere della Sera dice che sì avrebbe potuto esprimersi diversamente ma che lei crede fermamente in quel che ha detto. Un’intervista molto bella, di Gaia Piccardi

«La polemica di inizio Olimpiade ha tolto spazio alle medaglie e agli atleti. Mi dispiace. Vedo che se ne continua a parlare ancora oggi. Troppo. Quello che ho detto di Benedetta Pilato, come l’ho detto: il messaggio è stato strumentalizzato. Ho parlato di pancia, per quella che è la mia storia. Poi ho i miei pregi e difetti».

Elisa Di Francisca, due ori olimpici, 7 mondiali e 13 europei nel fioretto, un polverone sollevato per il commento sul quarto posto di Pilato, per un centesimo, nei 100 rana a Parigi.

I concetti potevano essere espressi in un altro modo.
«Lo riconosco. Ma non sono una giornalista: ero in diretta come ex atleta, ambassador del Coni a Parigi 2024. Benedetta,
a caldo, ha definito il quarto posto il giorno più bello della sua vita. Mi hanno chiesto un commento: mi è venuto da dire quello che ho detto perché ci credo profondamente».

Si spieghi.
«Credo davvero che la sofferenza, lo stare male per un risultato che non arriva, sia importante. Lo dico attingendo al mio vissuto di ex atleta della scherma: bisogna provare dispiacere, perché da lì si attinge la motivazione per ripartire alla conquista. Io ho sempre fatto così».

Di Francisca: «ci siamo parlate, mi dispiace se ho sbagliato le parole»

Non è detto che la sua esperienza sia quella di Pilato.
«Ma non per questo sono una bulla, una violenta, una stro… Sono una persona che delle sofferenze ha fatto tesoro: ho vinto l’olimpiade a 29 anni, dopo aver perso tanto. E tutti i momenti brutti e negativi li ho interiorizzati, per trasformarli in forza. È questo l’insegnamento che darò ai miei figli, senza amarli di meno, naturalmente».

Quindi in tanti anni di scherma non si è mai autoassolta, Elisa?
«Mai. Me la sono sempre presa con me stessa e mi sono rimessa in carreggiata. Non a caso, a Roma, tengo tutte le medaglie appese al muro. Ma davanti, invece degli ori di Londra, c’è l’argento di Rio de Janeiro. Il messaggio è: vedi, potevi fare di più».

Allora è vero che la generazione degli atleti «cattivi», in testa lei, Vezzali, Trillini, è tramontata.
«Io quel mordente, quella fame, quella determinazione feroce, in giro, la vedo in pochi. Parliamo di cattiveria agonistica, ovvio: quando salivamo in pedana, ci trasformavamo. È la sofferenza che prepara alla vita, non l’accontentarsi».

Ne fa una questione generazionale?
«I ragazzi che si accontentano, i genitori accondiscendenti, la proposta di abolire i voti a scuola… Mi sembra un discorso culturale, di società che sta attraversando un cambio generazionale. Io sono dispiaciuta se ho sbagliato le parole. Il mio intento era cercare di dare un significato più profondo a un risultato che io avrei vissuto in modo molto diverso».

Pilato non è Di Francisca, però. “Non so se ci è o ci fa” si poteva evitare.
«Sì, potevo evitarlo».

Vi siete chiarite?
«Le ho telefonato la mattina dopo, ci siamo parlate. Non volevo pensasse che ce l’avevo con lei, una diciannovenne. Era un discorso più ampio».

È riuscita a spiegarsi?
«Lo spero. Ciao, sono Elisa. E lei: perché hai detto quello che hai detto? È il mio modo di vivere la vita, figlio del mio modo di essere, ho cercato di chiarire. Ma tu non sei mica mia madre, ha detto. Se lo fossi ti direi le stesse identiche cose, ho risposto. Ma se ho urtato la tua sensibilità, ti chiedo scusa».

«Non insegnerò loro l’obbligo di vincere a tutti i costi, ma sanno che se non fanno bene una cosa ci saranno delle conseguenze. Non drammatiche, ma conseguenze. Mi spiace ma io appartengo alla generazione passata, ho avuto un padre severo che mi ha tirata su in un certo modo. Il buonismo imperante non è la mia filosofia. E non sopporto nemmeno la finzione ipocrita dei social né chi, nei momenti di polemica, usa le situazioni per innalzare se stesso. La vita vera è un’altra».

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