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Eriksson ha sconfitto il sistema: apprezzava l’umanità dei suoi calciatori, non li incolpava per le sconfitte (Guardian)

Mentre guidava l’Inghilterra, aveva attirato l’interesse di molti club: ciò non gli avrebbe permesso, però, molto tempo libero. Univa l’entusiasmo del gioco alle idee tattiche.

Eriksson ha sconfitto il sistema: apprezzava l’umanità dei suoi calciatori, non li incolpava per le sconfitte (Guardian)
Lazio Rome's head coach Swedish Sven Goran Eriksson looks at his team before the Italian first soccer league 's match Lazio Rome - Brescia, 01 November 2000, at the Rome's Olympic Stadium . Eriksson will be the next coach of the English National team. On the left Lazio Rome assistant coach, Italian former star Roberto Mancini, who will be the next Lazio's head coach AFP PHOTO GABRIEL BOUYS (Photo by GABRIEL BOUYS / AFP)

A 76 anni è morto Sven Eriksson, ex allenatore, da tempo malato. Ct dell’Inghilterra dal 2001 al 2006, in Italia è stato sulle panchine di Roma, Fiorentina, Sampdoria e Lazio.

Eriksson ha sconfitto il sistema

Il Guardian lo ha ricordato scrivendo:

Sven-Göran Eriksson è stato l’ultimo tecnico ad essere guidato tanto dal piacere, quanto dalle idee tattiche. E’ morto come ha vissuto: restando se stesso, impressionando i giocatori e apprezzandone la loro umanità. Voleva inseguire i trofei e la bella vita. Più che moduli e formazioni, gestiva l’ego e i desideri dei calciatori. Nel suo Paese, in Svezia, è stato idolatrato e spinto alla ricerca di una vita più ricca; ha imparato l’arte di essere guidato dal denaro mentre sembrava non preoccuparsene. All’apice della sua carriera, Eriksson guidava l’Inghilterra attirando l’interesse di Chelsea, Manchester United, Barcellona e Inter. Gestire la nazionale inglese gli ha offerto una vita al Regent’s Park, un profilo mediatico gonfiato e un sacco di tempo libero. Lo ha anche messo a capo della scoperta dei talenti: Rooney, Owen, Lampard, Gerrard, Beckham, Scholes, Terry e Ashley Cole.

Rooney disse di lui: «Giocavamo con il 4-4-2 o 4-4-1-1, concedendo sempre molto possesso palla. Ti chiedi allora: perché non abbiamo mai provato il 4-3-3, soprattutto con tutti i centrocampisti forti che avevamo. Ma non abbiamo mai avuto il coraggio di chiedergli di cambiare». A differenza di Fabio Capello, non ha mai dato la colpa ai suoi giocatori per le sconfitte. Sapeva controllare il suo ego e il suo onore. Gli mancavano rabbia e vendetta. Nonostante non sia stato all’altezza nei club inglesi in cui ha allenato, la sua recente standing ovation ad Anfield ha fatto uscir fuori le sue migliori qualità: modestia, entusiasmo, gentilezza, dignità. Per gran parte del suo tempo sulla terra, Eriksson ha battuto il sistema. 

Le ultime parole prima dell’addio

«Ho avuto una bella vita, sì – dice Eriksson – Penso che tutti noi abbiamo paura del giorno in cui moriremo. Ma la vita riguarda anche la morte. Spero che alla fine la gente dirà: “sì, era un brav’uomo”, ma non tutti lo diranno. Spero che mi ricorderete come un ragazzo positivo che cercava di fare tutto il possibile. Non dispiacetevi per me, sorridete. Grazie a tutti, allenatori, giocatori e pubblico, è stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. E vivetela».

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