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Monica De Gennaro: «Ho lasciato casa a 12 anni, a Vicenza ho subito discriminazioni perché ero del Sud»

A Repubblica il libero della Nazionale di pallavolo, lei è di Sant’Agnello: «Devo tutto a mia madre, ha sacrificato il suo amore per il mio futuro»

Monica De Gennaro: «Ho lasciato casa a 12 anni, a Vicenza ho subito discriminazioni perché ero del Sud»
Italy's #06 Monica de Gennaro and Italy's #18 Paola Ogechi Egonu celebrate after winning the women's volleyball gold medal match between USA and Italy at the South Paris Arena 1 in Paris during the Paris 2024 Olympic Games on August 11, 2024. (Photo by Patricia DE MELO MOREIRA / AFP)

Monica De Gennaro libero della Nazionale femminile di pallavolo che ha vinto alle Olimpiadi. Trentasette anni, è di Sant’Agnello, Penisola sorrentina. Su Repubblica Napoli c’è una bella intervista a firma Mariella Parmendola. Ne riportiamo qualche risposta.

Ha rimpianti Monica De Gennaro? Ha dovuto fare tante rinunce?
«È la vita che ho voluto sin da piccola. Non ho rimpianti. Certo ho ricordi diversi dagli altri della mia infanzia e adolescenza. In gita scolastica non sono mai andata. Quando i miei compagni di scuola partivano per la gita io dovevo allenarmi, restavo in palestra».

È stata questa la parte più difficile?
Monica De Gennaro: «No. È stato duro il primo anno al Nord, lasciare la mia famiglia e Sant’Agnello dove ho trascorso i miei primi 14 anni. Sei piccola, ti ritrovi a dovere iniziare tutto daccapo. Mi sono trasferita a Vicenza, dove sono rimasta sette anni. Non c’era più mia mamma a pensare a me. Cucinare, rifare il letto, la spesa, diventano tutti tuoi impegni. Si cresce in fretta. Ho dovuto cambiare anche tipo di scuola, passando dal liceo al geometra, per conciliare i miei allenamenti con lo studio. Non riuscivo a integrarmi, non ero ben vista in classe. Ho subito discriminazioni perché venivo dal Sud, ma ormai è andata. Dal secondo anno le cose sono migliorare, mi ha raggiunto mia sorella gemella, poi la più grande che si è iscritta all’università a Padova. Adesso Conegliano è casa, sono qui da 12 anni. Più della metà della mia vita comunque l’ho trascorsa in giro, lontano dalla Penisola sorrentina».

Sa quindi come ci si sente a essere vittima di razzismo: che pensa di quanto è capitato alle sue compagne di squadra?
«Non so come sia possibile non considerarle italiane solo per il colore della pelle. È semplicemente assurdo, fuori dalla mia logica. Con Paola Egonu siamo anche molto amiche, ma la mia considerazione è a prescindere. Spero che lo sport possa aiutare contro la cattiveria nel nostro paese, l’Italia è molto indietro, nel 2024 c’è ancora troppo razzismo». 

A chi dedica questa vittoria? C’è qualcuno che più di altri le ha fatto da maestro?
«Mia madre. Devo alla sua generosità se ho avuto la vita che volevo. Lasciarmi andare via a 14 anni non è stato facile, ha sacrificato il suo amore per il mio futuro. Lei ha sempre amato lo sport, avrebbe voluto praticarlo. Ma è la seconda di una famiglia di sette figli, presto hadovuto dedicarsi ai suoi fratelli, alla sua epoca funzionava così. È stata lei a portarmi in palestra da piccola con la mia gemella. Ci tirava dietro quando accompagnava mia sorella più grande. Che prima ha iniziato con il tennis, poi è passata alla pallavolo. È cominciata in questo modo, entrando in campo quando finivano gli allenamenti. Mi sono dedicata alla pallavolo per caso, avrei potuto fare basket o qualsiasi altro sport, a scuola mi piacevano tutti. Quando siamo diventate più grandi, altri sacrifici. Mamma ha viaggiato per seguirci. Oggi se voglio un consiglio o sto male chiedo a lei. È l’esempio da seguire. C’è sempre».

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