Se ne parlò per giorni. Tardelli (a differenza di Zappa) venne ammonito. Si difese così: «Non era premeditato». Anni dopo, fece autocritica
L’entrata di Tardelli su Rivera al terzo secondo, 36 anni prima del fallo di Zappa su Kvara
Se Zappa a Cagliari ha impiegato venti secondi a entrare sulla caviglia di Kvaratskhelia (secondo Conte in modo intimidatorio), trentasei anni fa Marco Tardelli ne impiegò tre di secondi per entrare sulle gambe di Gianni Rivera. Uno dei falli più celebri del calcio italiano. Era la stagione 1978-79, si giocava Juventus-Milan. Fischio d’inizio per il Milan. Tardelli oltrepassò il cerchio di centrocampo ancor prima che il Milan battesse, non appena la palla fu in gioco il centrocampista juventino si abbatté su Rivera e lo travolse. Per giorni si parlò di premeditazione. L’arbitro era il salernitano D’Elia che – a differenza di La Penna a Cagliari – estrasse il cartellino giallo.
Quel fallo fece molto rumore, a differenza dell’intervento di Zappa di cui non si è praticamente parlato.
Le parole a fine match di Tardelli, Rivera e Liedholm
A fine match Tardelli si difese così:
«Io non ho tentato di rompere la gamba né altro a Rivera perché non vado in campo per spaccare ossa, ma sempre e soltanto per giocare a calcio e questo l’ho fatto anche ieri. La tesi di Rivera, secondo la quale ho premeditato il fallo, è semplicemente assurda. Se davvero avessi voluto fargli male, avrei puntato solo alle gambe e non al pallone. Rivera è un grande professionista, ma lo è soprattutto con la lingua. Mi dispiace per quello che ha detto. La verità è che ha giocato duro anche il Milan, tanto è vero che mi sono preso due sputi in faccia e al contrario di Rivera non faccio nomi: ed è vero, ho strappato la maglia al milanista Bigon, ma mi sono buscato un calcio in faccia. Credo che l’arbitro mi abbia ammonito non tanto per la gravità del fallo, quanto per tenere le redini della partita».
Diverso il punto di vista di Rivera:
«A San Siro abbiamo rispettato la Juventus con le regole del calcio. Qui invece è stato permesso ai bianconeri di usare una violenza che non ha nulla a che fare con l’agonismo. Oltretutto questa cattiveria non era giustificata. Se noi del Milan avessimo risposto, ci sarebbe scappato il morto. La verità è che negli ultimi tempi chi ha cercato di giocare sul serio ha trovato invariabilmente una resistenza assurda. Abbiamo perso ma ci siamo dimostrati più forti della Juventus sul piano dei nervi, questo moralmente ci premia come vincitori. L’uno a zero subito in questa maniera ci fa onore e non ci ridimensiona. Semmai ha dimostrato che la Juventus per vincere deve ricorrere a sistemi che non le fanno onore».
Formidabili, come al solito, le parole di Nils Liedholm allora allenatore del Milan:
«Entrare alle spalle di un avversario e scalciarlo, ieri come oggi, stando al regolamento, è un fallo che va punito con l’espulsione. Eravamo però all’inizio della partita e comprendo perché l’arbitro abbia soltanto ammonito il giovane bianconero. Questi, ad ogni modo, ha dato un’interpretazione piuttosto personale e discutibile al termine pressing: il significato della parola è di affrontare l’avversario viso a viso, di contrastarlo per impedirgli di giocare o smistare la palla ma non vuol dire sicuramente mandarlo a gambe all’aria. Sarebbe necessario aver praticato in gioventù l’hockey su ghiaccio come ha fatto il sottoscritto. Vi assicuro che poi un calciatore si rivelerebbe temprato per qualsiasi tackle più o meno regolare». Concluse così: «i miei giocatori devono capire che per vincere uno scudetto non occorre soltanto giocare per divertimento, ma è necessaria anche una dose di cattiveria». E a fine stagione il campionato lo vinse proprio il Milan.
Anni dopo, Tardelli ammise: «Commisi una sciocchezza»