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Il 4-3-3 di Conte esiste solo in apparenza. Il Napoli difende col 5-4-1 (talvolta 4-5-1)

Sta insegnando a giocare a più velocità: ha aggredito il Monza e poi si è rintanato nella propria metà campo. Il Como di Fabregas sarà tatticamente scomodo

Il 4-3-3 di Conte esiste solo in apparenza. Il Napoli difende col 5-4-1 (talvolta 4-5-1)
Dc Napoli 29/09/2024 - campionato di calcio serie A / Napoli-Monza / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Antonio Conte

Pressione e gestione

Napoli-Monza 2-0 è stata una gara importante, anche e soprattutto dal punto di vista tattico, per capire la direzione e il senso del progetto di Antonio Conte. Il modo in cui gli azzurri hanno gestito le varie fasi della partita, con tanti cambiamenti di pelle e atteggiamento, ha un significato importante: il tecnico salentino ha in mente e sta costruendo una squadra multitasking e quindi mutevole. Che riesce a cambiare cifra e stile in pochi istanti. Che sa alternare momenti ad alta pressione e momenti di gestione, finanche di pausa – non scenica, ma ricostituente.

Tutto parte da due concetti fondamentali, vale a dire un’ammirevole condizione atletica e l’obbligatorietà della compattezza difensiva. Sono due condizioni che non c’entrano nulla con la diatriba 4-3-3/3-4-3 o con la tattica pura, nel senso che vengono ancora prima. Fin da quando è arrivato a Napoli, infatti, Conte sta allenando il Napoli perché sia una squadra innanzitutto fisica. E non solo per quanto riguarda la ruvidezza nei contrasti da parte dei difensori oppure la palla appoggiata su Lukaku che gioca da pivot: il nuovo tecnico pretende – e sta ottenendo – una totale disponibilità ai suoi giocatori a pressare e a ripiegare costantemente, ad accorciare e allungare il campo senza soluzione di continuità. La conseguenza è che il Napoli dà l’impressione di sempre equilibrato, sempre compatto, sempre con le distanze giuste, in ogni situazione. Ed è da qui che nasce, che sgorga, la sua compattezza difensiva.

Come detto, non è una questione di modulo di gioco: il Napoli visto contro il Monza – così come quello visto a Torino contro la Juve – ha la stessa anima tattica di quello visto contro il Bologna. Non importa che sia passato/tornato alla difesa a quattro, i principi di gioco sono rimasti pressoché identici. Sono i principi di una squadra che sa difendersi in tanti modi. Ed che gestisce le sue partite proprio in questo modo.

Il 4-3-3, ma solo in apparenza

Per affrontare il Monza, Conte ha deciso di riproporre la stessa identica squadra schierata a Torino contro la Juventus. Quindi difesa a quattro con Di Lorenzo-Rrahmani-Buongiorno-Olivera, McTominay titolare con Lobotka e Anguissa, tridente Kvara-Politano-Lukaku. Sembrerebbe 4-3-3, ma in realtà non è proprio così: in fase di costruzione, infatti, il Napoli si è disposto con un sistema leggermente diverso, vale a dire un 4-2-3-1 molto tendente al 4-4-2. Ancora una volta, il calciatore deputato a invertire i poli – e a rovesciare il triangolo di centrocampo – è stato Scott McTominay. Si vede chiaramente da questi frame:

In alto, si vedono chiaramente le due linee da quattro e Lukaku appostato sul centrodestra: McTominay è così avanzato che risulta addirittura fuori inquadratura. Sopra, invece, il centrocampista scozzese è ben visibile dal lato di Kvara: attacca la profondità proprio come un attaccante di ruolo.

Dal punto di vista difensivo, invece, Conte ha opposto un modulo fluido al 3-4-2-1 di Nesta: il 4-5-1 con McTominay mezzala diventava spesso 5-4-1. Questa particolare trasformazione è avvenuta, più volte, perché Politano seguiva molto da vicino Kyriakopoulos – il suo dirimpettaio, il quinto di centrocampo del Monza – e quindi retrocedeva praticamente sulla linea dei difensori. Ma il punto, come vedremo tra poco e come abbiamo accennato anche in precedenza, non sta tanto nelle spaziature in campo, piuttosto nell’intensità variabile del pressing portato dagli azzurri. Che, ripetiamo, è un concetto del tutto indipendente dal modulo di gioco scelto: esistono 4-5-1 molto poco aggressivi così come esistono 5-4-1 asfissianti, non è il numero dei difensori a fare la differenza.

Nel frame in alto, vediamo il Napoli che difende 4-5-1. Sopra, invece, vediamo gli azzurri in versione 5-4-1: Politano è fuori inquadratura, incollato a Kyriakopoulos.

Romelu Lukaku

Dopo un inizio di studio, il Napoli si è acceso all’improvviso. Anzi, si potrebbe usare anche un verbo più impegnativo, più forte: la squadra di Conte, diciamo dal decimo minuto in poi, è come se fosse esplosa. Ed è così che ha iniziato a governare la partita, fino a prendersela in modo autoritario. Con due gol che sono un manifesto del calcio secondo Conte, ovviamente in chiave offensiva.

Ma andiamo con ordine, e cominciamo anche a snocciolare qualche dato: nei primi 10 minuti, l’inizio di studio a cui accennavamo prima, il Monza ha tenuto addirittura il 72% del possesso palla. Poi la proporzione si è ribaltata, cioè tra il 10′ e il fischio finale del primo tempo il Napoli ha tenuto il pallone per il 65% del tempo. Ed è in quel frangente che gli azzurri hanno esercitato la pressione che ha fatto cedere il castello eretto da Nesta. E la caduta definitiva, come detto, è arrivata grazie a uno dei meccanismi più amati da Conte: il gioco in post basso di Romelu Lukaku.

Ok, Lukaku non tocca la palla. Ma è comunque decisivo.

È un’azione molto semplice da decodificare, ma anche molto tattica. Perché, come anticipato, Lukaku lavora per la squadra occupando una posizione di sponda, ed è decisivo anche se non tocca la palla: il suo movimento ad aprirsi verso destra, dalla parte dove il Napoli fa sovraccarico di uomini, crea il buco in cui si infila Politano. Poi certo, è chiaro che il centravanti belga e l’esterno offensivo ex Inter e Sassuolo si siano giovati di un po’ di fortuna, cioè di un rimpallo favorevole. Ma siete fuori strada se pensate che questa giocata, da parte di Lukaku, sia stata casuale. Ecco spiegato perché:

La mappa di tutti i palloni toccati da Lukaku. In questo campetto, naturalmente, il Napoli attacca da sinistra verso destra.

Insomma, Conte ha fatto in modo che Lukaku tenesse la profondità – più che attaccarla – aprendosi verso destra. Ovvero sulla fascia dove il Napoli avrebbe e ha giocato di più, esercitando la maggiore pressione: i dati, non a caso, dicono che gli azzurri hanno costruito il 44% delle loro azioni proprio sulla corsia di Di Lorenzo e Politano. Tornando un attimo al modulo di gioco, si potrebbe aggiungere che questo tipo di meccanismo è molto più assimilabile al 4-4-2 che al 4-3-3, soprattutto se riguardiamo – nel video sopra, nel resto della gara – il modo in cui McTominay va a occupare l’area di rigore. Come se fosse una seconda punta, più che una mezzala.

Il pressing estremo (e la fisarmonica)

Anche il secondo gol nasce da un concetto che Conte predica e pratica: la riconquista del pallone in zona avanzata. Per non dire avanzatissima. Pochi istanti prima del tiro smorzato di McTominay e del tap-in di Kvaratskhelia, il Napoli aveva letteralmente invaso la trequarti campo del Monza mentre la squadra di Nesta costruiva dal basso. O meglio: mentre provava a farlo, solo che poi Turati è stato indotto all’errore dal pressing estremo portato dagli azzurri.

Nel frame in alto, vediamo sei giocatori del Napoli (Lukaku, McTominay, Kvaratskhelia, Lobotka, Olivera e Bungiorno) dentro la metà campo del Monza, l’unico assente è sempre il solito Politano (sempre incollato a Kyriakopoulos). Due secondi dopo, come vediamo nel video sopra, arriva il passaggio sbagliato di Turati che porta al gol di Kvratskhelia.

Questo gol ha un significato enorme. Perché dimostra che adesso – o meglio: dopo una stagione di pausa – anche il Napoli è una squadra tatticamente avanzata, in grado di attaccare attraverso la sua fase passiva. E in questo caso il termine avanzata va inteso come sinonimo di evoluta, progredita: una delle prerogative del calcio contemporaneo, infatti, è quella di utilizzare il pressing come una vera e propria arma di costruzione. Cioè di distruzione che diventa costruzione. Per farlo serve ferocia, serve avere una grande condizione fisica, serve saper tenere bene le distanze in campo: tutte cose su cui, come detto, Conte sta lavorando fin dal primo giorno che è arrivato a Napoli.

E ora vi diremo/mostreremo qualcosa di ancora più significativo. Pochi istanti dopo l’azione che avete visto sopra, il Napoli ha cambiato totalmente registro difensivo: con il Monza in possesso palla, la squadra di Conte si è letteralmente rintanata nella sua metà campo, chiusa, ermetica, grazie a una lunghissima fisarmonica. Questo non è un termine puramente tattico, ma restituisce perfettamente la percezione di apertura e di chiusura trasmessa dagli azzurri. E basta mettere a confronto il frame appena sotto con quello che abbiamo visto finora, per capire cosa intendiamo:

Dieci giocatori di movimento sotto la linea della palla. Più il portiere, naturalmente.

Ecco il senso del nuovo corso del Napoli. Del progetto di Conte. Nella testa dell’allenatore salentino, fin dall’inizio della sua esperienza in azzurro, c’è una squadra che sa – e che quindi può – essere iper-aggressiva, ma che sa anche trincerarsi dietro, sa anche chiudere ogni spiffero a doppia mandata adoperando l’arte della compattezza. Delle distanze strette, tenute col caro vecchio blocco basso a protezione della propria area.

Come detto in apertura: per fare – quindi essere – tutte queste cose, il modulo di gioco non conta poi così tanto. Anzi, non conta niente: è tutta una questione di principi, di atteggiamento. Di identità di gioco, per dirla con termini contemporanei. Ciò che occorre davvero è una condizione fisica che lambisce la perfezione. E da questo di vista, si può dire, non è che ci siano molti dubbi: al netto di Lukaku – che ha un fisico particolarissimo, difficilissimo da portare velocemente al top – e degli altri nuovi acquisti giunti a Napoli alla fine del mercato, tutti gli altri componenti della rosa stanno dando degli ottimi riscontri.

Gestione (vale a dire riposarsi)

C’è anche da dire che, per aggredire e ritrarsi in questo modo, un allenatore deve saper gestire le energie dei giocatori che ha a disposizione. Nel caso di Napoli-Monza, Conte l’ha fatto in modo piuttosto chiaro una volta che il risultato era finito in cassaforte, vale a dire nella ripresa. È come se gli azzurri fossero entrati in modalità risparmio energetico, il loro obiettivo è stato solo quello di far trascorrere il tempo. Dal punto di vista tattico, questa intenzione si è realizzata attraverso un arretramento netto del baricentro – rimandiamo all’immagine sotto – e una rinuncia scientifica al giropalla. Non a caso, viene da dire, il dato del possesso grezzo riferito alla ripresa è tornato di nuovo appannaggio del Monza, e anche con un certo margine: 58% contro il 42% degli azzurri.

Sì, esatto: nel secondo tempo, il Napoli ha tenuto un baricentro più basso rispetto al Monza

Questo abbassamento dell’intensità difensiva non ha causato scompensi, infatti il Monza a costruire soltanto 5 tiri verso la porta di Caprile – il dato del primo tempo era rimasto fermo a zero – e nessuno di questi è stato davvero pericoloso. Volendo, potremmo escludere la punizione calciata da Maldini al minuto 60′. Inoltre, se scorporiamo la cifra, scopriamo che 4 tentativi sono stati scoccati da fuori area e che l’unico arrivato dentro i 16 metri è maturato su azione d’angolo. Stop, fine delle trasmissioni.

Per alimentare ulteriormente questa sensazione di solidità assoluta e inscalfibile, Conte si è concesso anche il lusso di cambiare ancora una volta il sistema di gioco: inserendo Mazzocchi al posto di Kvara è passato al 3-4-3/5-4-1, con McTominay nell’inconsueto ruolo di esterno sinistro di centrocampo/attacco. Poi sono entrati anche David Neres e Raspadori, che hanno dato un po’ più di freschezza alle ripartenze degli azzurri.

Forse sarebbe stato meglio inserirli un po’ prima per sfruttare meglio gli spazi aperti dal blocco basso utilizzato per tutta la ripresa, ma stiamo guardando davvero alla minuzia tattica. Al dettaglio infinitesimale nel contesto di una partita giocata – ma anche non giocata – secondo i desiderata del Napoli. E del suo allenatore. Che, come dire, aveva – e ha – tutto l’interesse affinché il Napoli arrivi riposato alla prossima gara di campionato. Venerdì alle 18.30 – data e ora molto anticipate, diciamo anche inusuali – ci sarà la sfida interna col Como. L’ultima gara prima della sosta, la prima in cui gli azzurri dovranno confermarsi al vertice della classifica.

Conclusioni

È chiaro che il Monza non possa essere considerato, come dire, un crash test molto attendibile. Nel senso: la squadra di Nesta ha tolto punti all’Inter e ha pareggiato a Firenze, ok, ma dal punto di vista offensivo è tra le più piatte dell’intera Serie A. E quindi il Napoli non ha dovuto spremersi molto, se vogliamo usare un eufemismo, per difendersi in modo efficace. Soprattutto dopo aver trovato il vantaggio e poi il raddoppio.

Tutto questo, però, non vuol dire che la partita di ieri sera non abbia dato del segnali positivi. Altri segnali positivi, viene da dire. Dal punto di vista delle prestazioni individuali, per esempio, vanno rimarcate quella di Politano, quella di Buongiorno e soprattutto quella di Anguissa. Più di qualsiasi altra cosa, però, c’è da sottolineare la serenità con cui il Napoli riesce a cambiarsi di abito durante la partita. La squadra di Conte accelera e decelera a seconda delle esigenze, cambia moduli e attribuzioni senza perdere equilibrio. Senza palesare scompensi tattici.

Da questo punto di vista, lo scontro col Como rappresenterà un esame importante. Esattamente come il Parma di Pecchia, l’avversario tatticamente più scomodo affrontato finora da Conte e dai suoi uomini, quella allenata da Fàbregas è una squadra che ha un’identità molto chiara, che prova sempre a imporre il suo calcio e che ha una serie di giocatori – e quindi di giochi – veloci che possono mettere in difficoltà chiunque. Anche il Napoli corazzato visto nelle ultime settimane. In questo momento non c’era squadra migliore – o peggiore, a seconda dei punti di vista – per verificare la tenuta della difesa a quattro e dell’identità mutevole su cui sta lavorando Conte. Soprattutto alla vigilia di una sosta, ovvero un momento in cui la classifica si cristallizza e allora si possono iniziare a fare certi calcoli e certi discorsi, quelli che restituiscono davvero il senso di un progetto.

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