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Il Var è gestito da chi non sa nulla di sport. Il calcio in mano al populismo, è la fine (Massimo Mauro)

Su Repubblica: una volta per un pestone non fermavi neanche il gioco, ora tutti si fermano come se avessero la caviglia spaccata in 4 pezzi

Il Var è gestito da chi non sa nulla di sport. Il calcio in mano al populismo, è la fine (Massimo Mauro)
Mi Napoli 01/03/2013 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Marco Iorio/Image Sport nella foto: Massimo Mauro

Il Var è gestito da chi non sa nulla di sport. Il calcio in mano al populismo, è la fine (Massimo Mauro)

Massimo Mauro su Repubblica scrive del Var:

Se metti il grande fratello in campo peggiori tutto, perché questo è finzione e non verità. Chi è stato in campo sa benissimo quando il contatto è fallo o è un normale momento di gioco. L’essenza del calcio è questa: si gioca con i piedi, non puoi chiamare fallo alla moviola per un pestone. E’ una cosa di una tale semplicità… Il Var crea un mondo irreale che può andare bene sui giochi on line, ma un mondo fatto di meraviglie come quello del calcio non può essere regolato da una macchina. La tecnologia per il Gol-Non gol e il fuorigioco va bene, ma usarla in questa maniera è la mortificazione.

“Vorrei sapere chi ha deciso le regole del Var”

Anche durante la stessa partita ci sono cose giudicate in maniera completamente opposta. I due rigori di Torino, quello che a Monza doveva essere dato (ma solo facendo il paragone con quelli assegnati a Torino e Firenze). Gli arbitri e chi li comanda hanno perso la testa, e i giocatori cercano di approfittarne. Una volta per un pestone non fermavi neanche il gioco, ora tutti si fermano come se avessero la caviglia spaccata in 4 pezzi. Vorrei sapere chi ha deciso le regole del Var, ma di sicuro dello sport non sa nulla. In fondo le battaglie per introdurlo le ha fatte un grande giornalista (Aldo Biscardi, ndr), che però non era un calciatore… Il calcio in Italia è tutto, non puoi metterlo in mano al populismo.  

Il Var somiglia sempre più a uno sciocco algoritmo (di Fabio Avallone)

Quante volte ci è capitato, sui social, di essere richiamati, sanzionati o addirittura sospesi per aver pubblicato qualcosa che secondo l’algoritmo-guardiano è inappropriato e “non rispetta gli standard della comunità”? 

Quasi sempre si tratta di una situazione grottesca: postiamo la foto di un quadro di Raffaello e veniamo sanzionati per nudità. Rispondiamo “bomba” per evidenziare una notizia clamorosa e veniamo richiamati per incitazione alla violenza.

Ci ridiamo su, magari scontiamo la pena che il social ci ha comminato e contro la quale non sapremmo a chi o cosa appellarci, e poi non ci pensiamo più. Ci rimane però la sensazione di aver avuto a che fare con qualcosa di stupido, paradossalmente proprio nell’epoca in cui si parla tanto di intelligenza artificiale, appena appena mitigata dalla consapevolezza che pretendere che ci sia un essere umano, presumibilmente ragionevole, con il quale discutere dell’appropriatezza di ogni contenuto è ovviamente impossibile.

All’algoritmo è stato “insegnato” che un capezzolo femminile è inappropriato e lui non può (ancora?) fare differenze tra la locandina di un film porno e la Maja desnuda di Goya, così censura entrambe.

Qualcosa di molto simile sta accadendo nel calcio, con qualche differenza che però rende la cosa ancora più inaccettabile.

Agli arbitri è stato insegnato che alcune fattispecie vanno punite in un certo modo.

Lo “step on foot” (il vecchio pestone) è fallo da ammonizione. Se avviene in area di rigore, è rigore.

Se il pallone tocca una mano in area di rigore si fischia quasi sempre. Se la mano è dell’attaccante è punizione (ed eventualmente gol annullato) se è del difensore è rigore, a patto che il movimento sia “incongruo” e che la mano sia sopra la spalla.

Altra regola: in un contrasto chi arriva prima vince. Non importano molto la dinamica dell’azione, la volontarietà dell’impatto, il danno effettivamente procurato, etc. Se A tocca la palla e poi B sfiora A, è fallo di B. Se è in area, è rigore.

L’effetto è molto simile a quello determinato dal ragionamento acritico degli algoritmi.

Finiscono per essere fischiati contatti ridicoli mentre altri falli che non sono stati codificati con tanta cura rimangono impuniti (come lo spintone a due mani rifilato a Kvaratskhelia durante la partita contro il Como).

La differenza enorme, rispetto al meccanismo degli algoritmi che abbiamo spiegato, è che nel calcio ci sono arbitri in carne e ossa dai quali, dunque, ci aspettiamo la ragionevolezza.

E ce ne sono tanti per giunta: quattro in campo e due in sala VAR per la precisione.

Il rapporto controllori/controllati non è uno a milioni, come sui social network, ma un molto più agevole 6 a 22 e due dei sei arbitri hanno anche a disposizione moviola e decine di telecamere.

Sarebbe lecito, dunque, aspettarsi intelligenza, sapienza, autorevolezza. Magari qualche errore, anche, come è sempre accaduto. Ma sempre tenendo conto che stiamo parlando di una partita di calcio, sport di contatto dove i giocatori, entro certi limiti, si possono spingere e strattonare, dove c’è l’area di rigore a delimitare le zone dove i falli vengono puniti con la sanzione più grave, ma dove c’è anche la dinamica dell’azione e va preso in considerazione se si sta andando verso la porta o se si sta uscendo dall’area, se il contatto è volontario oppure no, se c’è intensità oppure no, etc. etc.

Fonseca dopo Fiorentina – Milan, in cui sono stati fischiati 3 rigori sinceramente ridicoli, non ce l’ha fatta a trattenersi. “Dobbiamo rispettare il calcio” ha detto (a Diego sarebbe piaciuta moltissimo questa frase), “non possiamo dare rigore ogni volta che c’è un contatto. Stiamo trasformando il calcio in un circo”. E per rafforzare la sua affermazione ha chiarito di avercela innanzitutto con i rigori fischiati a favore del Milan.

Poche ore prima, in Juventus – Cagliari, è stato fischiato un rigore perché Luperto, dopo un contrasto aereo, mentre tornava a terra, ha sfiorato la palla con la mano mentre questa usciva dal campo. Non se n’era accorto l’arbitro, ma non se n’era accorto neanche nessuno in campo e nessuno sugli spalti. Se ne sono accorti, dopo 10 replay, in sala Var e hanno invitato l’arbitro a dare il rigore.
Così la Juve è andata in vantaggio per lo sfioramento involontario di un pallone che stava uscendo dal campo. Follia. (Per fortuna poi ci ha pensato Douglas Luiz a rimettere le cose a posto).

Nella rubrica “Open Var” che va in onda su Dazn i tre ex calciatori presenti (Toni, Parolo e Ambrosini) hanno mostrato tutto il loro sconcerto per le decisioni dell’ultima giornata (9 rigori assegnati e altri tre o quattro reclamati con veemenza) e hanno prospettato l’ipotesi di prevedere la presenza in sala Var di un ex calciatore con il fine di aggiungere un po’ di ragionevolezza a certe decisioni.

A prescindere dallo spirito un po’ corporativistico di questa proposta e dell’immaginabile e non auspicabile dibattito che si scatenerebbe in sala Var su ogni azione, il fine ci sembra condivisibile ed è lo stesso invocato da Fonseca: rispettare il calcio.

Per farlo non c’è bisogno di chissà quale rivoluzione: basta tenere presente che cos’è il calcio. Un fallo di mano, per esempio, è tale se è volontario e se procura un vantaggio a chi lo commette. Una palla sfiorata mentre esce dal campo e che non cambia nemmeno direzione, non è un fallo di mano.
Un contatto è sanzionabile se è tale da far cadere l’avversario e, ancora, se procura un vantaggio a chi lo ha commesso.
Niente di clamoroso, solo calcio.

Ben venga il Var quando serve a correggere sviste clamorose, ma basta con le regolette create a tavolino e applicate in maniera stupida.

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