Il ministro ha superato Gravina nella fiera delle banalità ed era un’impresa ardua. Quante parole per non dire nulla
A poco meno di due settimane dal caso ultras che ha coinvolto le curve di Inter e Milan, siamo ancora in attesa di un intervento delle istituzioni. Mica un intervento divino. Anche solo una parola degno di nota. E invece rimaniamo il più delle volte delusi.
Sugli ultras Gravina usa tante, troppe parole per non dire nulla
L’inchiesta di Milano ha aperto quel vaso che, chissà per quali oscuri motivi, nessuno voleva aprire. Ci sono voluti almeno due omicidi per accendere i riflettori sul malaffare che impera negli stadi. Il plurale non è usato a caso. Perché Milano è il centro nevralgico, economico, dove girano i danari. Ma altrove, e lungo tutto lo stivale, non è tanto diverso. Ad essere diverso è semmai il rapporto che i club decidono di istaurare con le frange più estreme del tifo. Ma questa è un’altra storia.
Tornando alle istituzioni. Pare di essere alla fiera dell’ovvietà, del nulla cosmico. Qualche giorno dopo Gravina ha pure avanzato un’idea. L’ha lanciata così, sul tavolo, come fosse l’asso di briscola. «Noi siamo a disposizione. Il ricorso alla tecnologia nell’ambito dell’identificazione di coloro che entrano allo stadio non è più prorogabile». Vediamo chi ha il coraggio di superarlo. Prima di buttarli lì, ha pure preparato il campo. Una minuziosa, attenta, articolata perifrasi.
«Tutte le forze devono unirsi e mirare nella stessa direzione. Il mondo del calcio non ha a disposizione gli strumenti che sono invece a disposizione delle forze di polizia, per cui dobbiamo ringraziarle perché pongono in essere tecnologie e mezzi per rendere più praticabile la fruibilità del nostro evento», ha detto Gravina.
Per i comuni mortali ha detto che la Figc, l’0rgano di governo del calcio italiano, non può fare nulla e che solo la polizia ha i mezzi per intervenire. Di certo non va meglio Abodi. Il ministro dello sport si è incartato sulla “carta dei doveri” (scusate l’incartamento). Deve essere necessariamente come uno Statuto Albertino del calcio, altrimenti non si spiega.
La soluzione è la “carta dei doveri”, lo Statuto Albertino del pallone
A Sky oggi ha messo insieme una serie infinta di luoghi comuni. «Vogliamo che il calcio e lo sport in generale, così come lo stadio, siano luoghi di felicità e gioia». Via dagli stadi i brutti, i cattivi, gli infelici, i tristi e chi non compra le figurine Panini. Se sono ultras felici sono i benvenuti. «Non si è compresa la struttura dei doveri che si hanno. Per questo ho ripreso in mano la carta dei doveri. Si tratta di un fatto educativo». Che cos’è Scherzi a parte?! Mica stiamo a smacchiare i giaguari.
C’è chi dice addirittura che la famosa “carta dei doveri” abbia impedito la truffa dello specchietto ai danni di un povero anziano vicino a Rogoredo. E giusto per evitare di perdere una manciata di consensi qua e là, il ministro ha concluso: «La curva è fatta di migliaia di ragazzi e ragazze dallo spirito libero, non possiamo immaginare che poche centinaia di delinquenti determinino un giudizio collettivo, questo non possiamo permettercelo».
Almeno, la settimana scorsa, Abodi ci aveva risparmiato unicorni, arcobaleni e zucchero filato: «La carta dei doveri è rimasta sul mio tavolo, forse va ripresa e andrebbe sottoscritta da tutti i tesserati insieme ai contratti con i propri club», ha dichiarato a Rtl pochi giorni dopo il caso ultras.
Il festival della dichiarazione più ridicola. E all’appello manca ancora Malagò. Fanno a gara chi dice la cosa più ovvia, un concentrato di nulla misto a niente che riempie le orecchie e scivola via come rumore di sottofondo. Mentre il sistema crepa sotto i colpi di inchieste giudiziarie, giornalistiche, di sentenze di tribunali. E loro lì, a fare la check-list dei doveri a cui ogni tesserato deve attenersi. Articolo 1: Dire sempre buongiorno, buonasera con il sorriso.