Ormai il calcio è merce diluita. Pappine insignificanti. Sono stanchi i calciatori e pure i tifosi. Svegliateci il 4 marzo, quando torna la vera Champions
Non era meglio la Superlega di questa Champions noiosa e sfilacciata?
Il 4 marzo. Ci becchiamo davanti alla tv il 4 marzo. Che sia Amazon Prime, Sky, Dazn, Now, Mediaset o… no, quelli del “pezzotto” per il 4 marzo 2025 dovrebbero essere già stati deportati in Albania, tutti e tre milioni di pirati. Comincia la Champions League a misura d’uomo, il 4 marzo: gli ottavi di finale, l’eliminazione diretta, l’agonismo, la competizione. Fino ad allora possiamo dedicarci ad altro, ognuno appresso alle sue perversioni. Chessò: un recuperone di Temptation Island, lo studio approfondito del caso Sinner-Clostebol per sentenziare prima del Tas, ma pure una rilettura delle istruzioni della lavastoviglie va bene. Tutto, pur di non ritrovarci a dover gestire l’insulsa massa informe della nuova – obesa – Champions League.
Ci avvertiva da mesi ormai la pubblicità (progresso?) di Sky: il claim era un inquietante “più squadre più calcio più spettacolo, il più grande spettacolo del mondo”. L’introduzione ad un groviglio di partite in espansione costante, distribuite in incroci randomici senza una logica apparente. Le big contro le big senza niente in gioco; a seguire esperienze al limite del potenziale snuff movie come Liverpool-Bologna. Il tutto per fabbricare dei classificoni sfilacciati, e infine arrivare – appunto – al 4 marzo, si spera ancora sani di mente. La parola chiave è “lega”: non sia mai che qualcuno venga “eliminato” subito, il mostro va sovralimentato per coazione a ripetere.
La nuova Champions, ovvero: perché quest’autunno-inverno di bulimia pallonara?
Gli ottavi, un miraggio. Dopo un autunno-inverno di bulimia pallonara, e una domanda assillante: ma perché?
Non veniamo da Marte (anche se un paio di settimane l’anno ce le passeremmo volentieri), la risposta è ovvia: i soldi. È l’avverbio di quantità, il problema: quel “più”, il troppo che – saggezza popolare – stroppia. Ecco: il calcio ci ha struppiato. Ha superato il turning point: il pubblico, sopraffatto, ha cominciato a scappar via, in fuga da uno tsunami di pallone insignificante, superfluo.
Quel che loro chiamano spettacolo ha spesso la misura d’un sopruso percepito. Un accerchiamento quasi militare di calcio paillettato. E la gente – che è sì così scema da farsi fregare dagli algoritmi ipnotici di TikTok, ma non tanto da farsi piacere un Salisburgo-Brest al giorno tutti i giorni – l’ha capito.
L’ha detto molto bene Dugarry: “Non credo ci sia un disincanto, ma un disinteresse… Ed è anche peggio. Che ci sia vittoria o sconfitta, alla gente non importa, sono diventati indifferenti, hanno cose migliori da fare. È incredibile il numero di partite inutili che abbiamo visto”.
I calciatori – pagati – si lamentano perché giocano troppo. E gli appassionati – che pagano – si lamentano perché giocano troppo. A nessuno viene in mente che, forse, giocano davvero troppo. Dove il “troppo” non è solo questione di soglia del dolore soggettiva, ma soprattutto un indicatore economico. Se vendi una merce diluita, insipida, il cliente se ne accorge. Puoi imbellettarlo quanto ti pare, ma l’evento è davvero tale se in serie limitata. Il calcio della Uefa e di Infantino è entrato nella fase della grande distribuzione di massa. Solo che si ostina a proporre delle biglie di vetro spacciandole per perle. Il traguardo è la svalutazione: è finanza for dummies. La Fifa comincia sospettarlo, visto che non riesce a vendere il nuovo – già bolso – Mondiale per club a ventottomila squadre.
Noi ce ne andiamo in letargo: ci rivediamo, sul divano con la birra, il 4 marzo 2025. Primo giorno di vera Champions.