È successo ieri sera. Non è la prima volta: nella caccia ai siti illegali capita che possano essere coinvolti domini che non hanno nulla a che fare con la pirateria
Piracy Shield, la piattaforma antipezzotto, ieri sera ha commesso un clamoroso errore, bloccando per sbaglio Google Drive un sistema che consente di creare e archiviare i propri documenti.
Scrive Repubblica:
Piracy Shield è una piattaforma che funziona in modo molto particolare. In sintesi: tramite questa piattaforma donata dalla Lega Serie A ad Agcom, i broadcaster segnalano alla stessa Agcom i siti che trasmettono illegalmente i loro contenuti. Questa segnalazione viene inoltrata ai provider internet (per capirci, parliamo dei vari Tim, Wind, Vodafone, ma anche quelli secondari) che devono rapidamente (entro 30 minuti…) inibire quegli indirizzi. Tutti quelli segnalati, senza poter verificare (esiste una lista di indirizzi che non possono essere abbattuti per la sicurezza del Paese, detta white list). Ecco, in questa catena qualcosa è andato storto, sabato sera. Perché a essere inibito, prima dell’ora di cena, è stato il dominio che serve per scaricare i file da Google Drive.
Piracy Shield, non è la prima volta che ci sono degli errori simili
Filtrati anche indirizzi Ip di Google (servizi di Google per Google) su cui gira ad esempio anche Youtube. Che può avere avuto quindi un impatto. I dati mostrano nitidamente come nella serata di sabato siano aumentate esponenzialmente le segnalazioni tra le 19 e le 22.15. In quella fascia di tempo, il sistema Google Drive ha smesso di funzionare. Non è la prima volta che succede qualcosa di simile: nella pesca a “strascico” dei siti che trasmettono illegalmente, e che vengono spesso individuati solo intercettando i dati di traffico più intenso, possono finire anche domini che nulla hanno a che vedere con la pirateria. È successo anche ad altri: persino un sistema di cyber sicurezza, nelle scorse settimane, ha visto inibiti i propri servizi.
Il problema è che quando parte la segnalazione “urgente” con il sistema attuale, il provider internet non ha alternative. Ma nella lista finiscono spesso domini in cui l’attività illegale si appoggia, e che certo non è né l’attività unica, né quella principale di quel dominio. Ma essere nella lista basta a subire il blocco. Servono modelli di scrematura. Ma il sistema – soprattutto dei segnalatori – non ha un sistema di warning che potrebbe evitare un autogol simile. E fino a non molte settimane fa la piattaforma non faceva sanity check: vuol dire che nell’elenco potevano finire anche indirizzi che non erano Ip. Il caso Google Drive imporrà di estendere la lista dei domini intoccabili. Ma forse a questo punto non è sufficiente.