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Negli Usa un anno di Nfl costa come un mese di Serie A su Dazn. Capito come si batte il pezzotto?

Intanto in Italia blocchiamo Google Drive per impedire a @Pippetto14 di piratare Como-Parma. L’industria musicale non ci ha insegnato niente…

Negli Usa un anno di Nfl costa come un mese di Serie A su Dazn. Capito come si batte il pezzotto?

Al posto del calcio, nel 2000, c’era la musica. Che, al di là delle autocertificazioni, era davvero un’industria planetaria con fatturati a enne zeri. Il pezzotto d’allora – tecnologicamente imparagonabile, certo – si chiamava Napster: nel 2000 registrava 20 milioni di utenti, e una media di 14.000 canzoni scaricate gratis ogni minuto. Molti di voi non lo ricordano (alcuni di voi nemmeno erano nati, nel 2000) ma ad un certo punto in tv cominciò a girare il seguente spot:

49 secondi di pura ansia cringissima. “Non ruberesti mai un’auto, non ruberesti mai un televisore”.… “RUBARE E’ CONTRO LA LEGGE!”. E’ stato, per chi studia queste cose, il prodotto più scadente e sfottuto degli ultimi 24 anni di storia della pubblicità. Con una postilla di purissimo imbarazzo: lo spot contro la pirateria musicale fu diffuso in Europa con una soundtrack “piratata”. L’autore del tema musicale Melchior Reitveld aveva concesso i diritti d’utilizzo solo per l’Olanda.

Veniamo a noi: la altrettanto cringissima battaglia contro i mulini a vento dell’Italia (ma anche in Spagna e in Francia, con meno enfasi) contro il pezzotto. Nel weekend il famigerato Piracy Shield, sviluppato per conto della Lega Serie A e gestito dall’AgCom, ha fatto un casino: ha bloccato i servizi di Google Drive e Youtube, mentre eserciti di efferati “pirati” guardavano a sbafo il grande spettacolo di Como-Parma e Milan-Udinese. Il commissario dell’AgCom Massimiliano Capitanio – presa in prestito la grammatica da apocalisse incombente che De Siervo riserva solitamente al tema – ha commentato così: “È in corso un incendio di proporzioni devastanti, è ovvio che vorremmo che i vigili del fuoco quando arrivano spengano solo l’incendio senza mandare acqua o schiuma sulle altre cose”. Insomma – è il sillogismo implicito – essendo la lotta al pezzotto una epocale guerra per la sopravvivenza dell’umanità dobbiamo mettere in conto qualche danno collaterale (magari ne riparliamo quando Google deciderà di far causa all’Italia. Ogni supereroe si sceglie i suoi nemici… auguri).

Fatta la tara alla retorica incontinente delle istituzioni italiane (“la pirateria è un maledetto cancro criminale”) ci agganciamo ad un’altra citazione di Capitanio per affrontare modestamente il tema da un altro punto di vista. Capitanio dice: “Sono stato a Miami dove li paragonano ai trafficanti di cocaina”.

Ok, non distraetevi, lo sappiamo: il pezzottaro Scarface è un’immagine irresistibile…

Pezzotto scarface

La domanda è: perché negli Stati Uniti, dove lo sport è certamente più industria che da queste parti, non si dibatte in questi termini di pirateria? Come si chiama il Pezzotto in America? Esiste? Se lo è chiesto anche Francesco Costa nel podcast “Morning. Certo che c’è, figurarsi. Il punto è che nessuno o quasi lo usa. Gli americani sono forse più civili di noi? Boh. Sicuramente sono molto più pragmatici. E dalla lezione della musica hanno imparato come si fa: la repressione tecnologica è una chimera, persino un po’ tenera. Conviene far pace con il progresso e monetizzare.

E allora, molto semplicemente, negli Stati Uniti il pubblico non usa il Pezzotto perché è facilissimo, e molto appagante, “fruire” lo sport legalmente. Costa poco. E il prodotto è di livello mediamente altissimo, non solo per lo sport in sè, ma proprio nello show che gli viene cucito addosso. Il divario con le atmosfere simil-sovietiche che certe volte trasmette la programmazione del monopolista Dazn in Italia è sconcertante.

Prendiamo ad esempio i due mercati sportivi più ricchi del pianeta: il basket Nba e il football americano, la Nfl (che negli Usa è lo sport più seguito, con numeri dieci volte superiori al basket). Negli Stati Uniti puoi guardare tutto – tutto – il campionato Nba abbonandoti a Nba League Pass, la piattaforma streaming ufficiale della Nba, costa 99,99 dollari l’anno e comprende la visione in diretta o on demand di tutte le partite di ogni singola squadra della regular season, l’All Star Weekend, i playoff e le Finals. L’abbonamento comprende anche un menù di contenuti ulteriori enorme: gli highlights di 10 minuti di ogni partita tutte le mattine, un archivio infinito di partite del passato, tutte le Finals degli ultimi 23 anni, Nba Action, interviste, eccetera eccetera. Con l’abbonamento Premium da 139,99 dollari l’anno puoi usare in contemporanea 3 diversi dispositivi.

costi Nfl

Solo per chiarire il contesto: se il calcio italiano prova a rivendersi come “grande industria” ogni volta che parte la questua dei bandi per i diritti tv, sappiate che l’Nba ha appena siglato i nuovi accordi fino alla stagione 2035-2036 per 76 miliardi di dollari in undici anni, con The Walt Disney Company (Abc e Espn), NBCUniversal e Amazon Prime Video. Il doppio canale – l’all inclusive in streaming e la trasmissione in tv, cable o no, convivono tranquillamente.

Coff coff… (colpetto di tosse, per stemperare l’impaccio).

Per non perdersi nemmeno una partita di Nfl, l’appassionato americano può sottoscrivere un abbonamento a Nfl+, il servizio streaming offerto dalla lega negli Stati Uniti, il cui pacchetto base costa 50 dollari annui. Esatto: 50. dollari. l’anno. Offre Nfl Network, partite in diretta e on demand, i film della Nfl e solo su telefono o tablet la diretta della squadra locale e di tutte le partite trasmesse a livello nazionale. Il pacchetto plus, 100 dollari, aggiunge anche NFL RedZone, tutte le partite on demand e i coach film, con possibilità di visione anche su pc e tv.

È ridondante ricordare che l’offerta base di Dazn – per la Serie A – costa 34,90 euro al mese o 359 euro l’anno. E che il Pezzotto, a quanto pare, è pagato da circa 3 milioni di pirati italiani 10 euro al mese.

La Lega Calcio, il governo che nel 2023 ha approvato la Legge 93 – la legge “anti-Pezzotto” – e l’AgCom che gestisce un sistema clamorosamente spericolato (se non poco efficace) come il Piracy Shield forse farebbero bene a rimettersi al passo con la realtà: l’approccio repressivo, così ottuso dal voler cancellare il presente tecnologico con un “decreto omnibus”, è scaduto come uno yogurt dimenticato in frigo prima di partire per la Calabria ad agosto.

Tutta la mistica, la sacralità, della battaglia monumentale è donchisciottesca, una paccottiglia antiquata. L’industria musicale ha svoltato quando ha messo sul mercato servizi a cifre ragionevoli (che hanno distorto per altri versi il mercato, ma questa è un’altra storia) con una nuova esperienza di ascolto, più gratificante e “facile” di quella offerta dalla concorrenza illegale.

A proposito della cattivissima legge italiana anti-Pezzotto che vorrebbe punire persino i motori di ricerca che non collaborano, il responsabile delle Politiche pubbliche di Google Italia Diego Ciulli ha detto che Google è a conoscenza di almeno nove miliardi di pagine che violano il diritto d’autore online, e il governo italiano “ci chiede di inondare l’autorità giudiziaria di quasi 10 miliardi di Url, prevedendo il carcere se manchiamo una sola notifica”.

Potremmo ancora dichiarare il Pezzotto “reato universale”, certo. O deportarne gli utilizzatori in Albania. Cosa resta, poi… l’atomica?

L'atomica contro il Pezzotto

 

 

 

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