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Goikoetxea: «Maradona? Quel fallo mi ha dato una popolarità sinistra, mi ricordano solo per quello»

La Stampa intervista il macellaio di Bilbao, l’uomo che maciullò la caviglia di Diego: «Non volevo fargli male, quelle scarpe le ho messe in una teca»

Goikoetxea: «Maradona? Quel fallo mi ha dato una popolarità sinistra, mi ricordano solo per quello»

La Stampa intervista Andoni Goikoetxea passato alla storia come il macellaio di Bilbao, l’uomo che maciullò la caviglia di Maradona in un tristemente celebre Bilbao-Barcellona. L’intervista è a firma Antonio Barillà.

Andoni Goikoetxea è stato bandiera dell’Athletic Bilbao, mantiene il record rojiblanco di gol segnati da un difensore e ha vestito 39 volte la camiseta della Spagna, eppure c’è un’immagine che oscura tutto e macchia la carriera, l’entrata violenta su Diego Armando Maradona al Camp Nou il 24 settembre 1983.

«Quel fallo mi ha dato una popolarità sinistra, mi ricordano solo per quello. Non mi riconosco nei ritratti, nei soprannomi, nella fama di cattivo, però devo conviverci: la storia non si può cambiare».

Goikoetxea, cominciamo da quel giorno?
«La partita era tesa, la rivalità tra i due club profonda. L’intervento non merita giustificazioni però, credetemi, non ci fu nulla di intenzionale, non volevo fare male a Diego. Entrai scomposto e in ritardo perché lui era velocissimo, mi prendo comunque tutte le responsabilità».

Capì subito la gravità delle conseguenze?
«Che non fosse un infortunio banale mi son reso subito conto, della frattura multipla ho appreso più tardi. Ero scosso, dispiaciuto, fu il tecnico Clemente a informarmi della diagnosi e poi dell’intervento chirurgico».

Goikoetxea e l’incontro con Maradona: non aveva serbato rancore 

El crimen, titolò El Mundo.
«E io diventai El carnicero, il macellaio di Bilbao. Furono giorni difficilissimi, subii critiche aspre ma anche minacce».

Davvero conserva le scarpette del fallo in una teca?
«Sì, ma non si pensi a un trofeo. Sono piuttosto un simbolo. Le ho indossate due volte, il giorno della partita che mi ha segnato nella sfida di Liga con il Barça e in quella con il Lech Poznan: rappresentano i due volti del calcio, il momento più basso e la rinascita, il dolore delle critiche e la carezza della comprensione, l’importanza di non sentirsi soli».

La pace tanti anni dopo…
«Dopo gli anni azzurri in Italia, tornò in Spagna, al Siviglia. Chiesi io di parlargli, attraverso un suo dirigente, e lui accettò, è stato molto gentile. Ci siamo visti nell’hotel dov’era in ritiro, prendemmo un caffè e chiacchierammo a lungo: l’episodio è stato toccato tra tanti altri argomenti, la cosa bella è che mi dimostrò di non serbare rancore».

Lei sostiene che fu un fallo occasionale, ma a Barcellona la fama da picchiatore era precedente. I tifosi blaugrana la mal sopportavano già da un paio d’anni, imputandole un grave infortunio di Schuster
«La sua lesione c’era già, non l’ho detto io ma il medico del Barcellona: strascico di uno scontro di gioco durante una partita con il Colonia, il mio contrasto non c’entrava nulla».

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