Il regista napoletano costruisce il suo film più universale. Che sia Napoli uno dei pochi posti al Mondo senza non luoghi?
Parthenope, Sorrentino alla ricerca del senso della vita con un sanfedismo di maniera sullo sfondo
“Parthenope” è l’ultima creatura del cineasta napoletano Paolo Sorrentino ed è da oggi – 24 ottobre –nelle sale. La storia è quella di Parthenope Di Sangro (Celeste Dalla Porta) ed abbraccia un arco temporale che va dal 1950 al 2023 che è poi la larga parte della vita di questa figlia di armatori napoletani soci di Don Achille Lauro. Nel 1968 la giovane ragazza vive a Capri la sua estate perfetta fatta dell’incontro con il poeta John Cheever (Gary Oldman) e del suo primo amore (povero) con Sandrino (Dario Aita) e del suicidio del fratello di lei Raimondo Di Sangro (Daniele Rienzo).
Dopo questo evento la ragazza che voleva tutte le risposte vivrà nel pensiero dell’altro da sé dimentica della ricerca dell’amore e nel tentativo disperato di trovare un senso. Parthenope cerca di fare l’attrice ma “ha gli occhi spenti” e decide dopo la laurea in Antropologia guidata dal professore Devoto Marotta (Silvio Orlando) di tentare la strada dell’insegnamento universitario. Nel mentre ha una relazione con un camorrista Criscuolo (Marlon Joubert) e l’incontro con il Cardinale di Napoli (Peppe Lanzetta) che le spiega cos’è Dio (il sesso) e cos’è il suo contrario: la ricerca del potere. Fa questo la ormai quarantenne Parthenope senza giudicare e senza farsi giudicare ed in seguito non riesce ad abbandonare Napoli restando a fare l’assistente fino alla pensione.
Parthenope il film più universale di Sorrentino
Sorrentino in questa storia all’apparenza stravagante tra un sanfedismo di maniera e la ricerca di una razionalizzazione delle cose, costruisce il suo film più universale interrogandosi sul senso della vita, del potere e dell’amore utilizzando lo spazio vitale e filosofico di Napoli. Ed è attraverso Napoli che giunge alla sua verità che a differenza di quella autentica è indicibile: si vive per ricercare l’amore che fa sopravvivere, forse. Che Napoli sia rimasto il luogo per vedere – antropologicamente – tutto questo? Che sia Napoli uno dei pochi posti al Mondo senza non luoghi?