Intervista all’ex calciatore di Bologna e Napoli. Parla di Maradona, del perché lasciò Napoli, dei suoi match contro gli azzurri.
È puntuale come un orologio svizzero, anzi ti chiama se fai un pò di ritardo. Non si direbbe, conoscendo il personaggio. Allegro, sornione, con la battuta facile e sempre pronta e quell’inconfondibile accento romagnolo, dal vivo Eraldo Pecci è uno spasso. Disponibile, affabulatore e veloce nel raccontarti fatti, aneddoti e intrighi della sua permanenza a Napoli ma anche storie di calcio, quello degli anni ’70 e ’80, legato alle squadre dove ha militato. Bologna, Torino, Fiorentina, Napoli e ancora Bologna. Inizia con una precisazione, però.
«Wikipedia porta anche un finale di carriera a Vicenza ma lì non ci ho mai giocato. Romano Fogli, l’ex bolognese, mi volle con sè come chioccia per i più giovani quando allenava i biancorossi ma non ho mai giocato. Poi ebbi un infortunio e decisi che era arrivata l’ora di smettere».
Il pranzo
L’appuntamento è presso un noto ristorante a Mergellina, una volta questo locale era altrove e ha rappresentato il covo di tutti i giocatori del Napoli, gli scapoli e gli ammogliati, i regolari e i bizzarri. Di ‘quel’ ristorante è rimasta solo una foto alle pareti del nuovo locale. I giocatori sorridono davanti ad una frittura di pesce, Rimbano scherza con Damiani mentre gli altri li incitano al gioco. Che bei tempi, quel posto veramente cementava le squadre, quante verità si dicevano di fronte ad una bicchiere di vino rosso. Braglia faceva le sue scappatelle proprio lì, Pesaola non finiva mai di raccontare con il suo accento argentino, La Palma e Boccolini passavano per la cena la domenica sera.
Nonostante Pecci abbia giocato nel Napoli per una sola stagione, ricorda ancora quel punto di ritrovo. Era qualche centinaio di metri più in là, oggi c’è Massimiliano, il figlio, a portare avanti la tradizione di famiglia. Ci accoglie con modi gentili, è premuroso ma ancora giovane per ricordare chi è passato per la cucina del padre. Eraldo Pecci si siede e inizia a raccontare, andiamo sul leggero ‘classico’, ovviamente è lui a scegliere il menu. Ci portano dei tocchetti di pizza per accompagnare il pasto, niente primo. Piedone va pazzo per la mozzarella, e allora ordina una bella ‘bianca’ del casertano, poi si ricorda della spigola e allora si materializza un bel pesce all’acqua pazza di una delicatezza unica. Vino, un dolcino, un amaro.
Buriani
Mi faccio, ovviamente, firmare il suo “Il Toro non può perdere” e mi promette che mi farà avere il suo nuovo libro, per Rizzoli, appena uscirà. Sarà una sorta di autobiografia romanzata con riferimenti al calcio di ieri e di oggi, attendiamo con curiosità. Ogni tanto sorride, si guarda intorno verso Via Calabritto, la Riviera, Via dei Mille e prima di iniziare l’amarcord scoppia in una fragorosa risata.
«Ogni volta che vengo da queste parti mi ricordo che Buriani girava per la città con un vecchio maggiolone, mi diceva che preferiva andare a spasso con una macchina usata così non la potevano rubare, la lasciava dovunque. Ruben era un tipo straordinario».
L’intervista
Poi fa una pausa e dice: «Beh, da queste parti venivo anche quando bisognava andare da Diego o a cercarlo in città. Ho ancora i brividi a pensare di aver giocato con lui, di aver palleggiato e mandato in rete il più grande giocatore di tutti i tempi. Per piacere, lasciamo stare i paragoni con Pelè, quello era un calcio totalmente diverso».
Incalzo e gli chiedo : E’ vero che Mary Bruscolotti si è presa cura di te come un figlio?
Si apre in un sorriso a quaranta denti e afferma:
Bruscolotti ha fatto tanto per me ma anche per tutti i nuovi del Napoli, è stato un leader fuori e dentro il campo. La sua casa era il rifugio di tutti noi, io in primis. Sapevo che Mary metteva sempre un piatto caldo a tavola per me. Mi hanno coccolato e dato tanto a livello umano. Non lo dimenticherò.
Non ti è dispiaciuto andare via da Napoli, raggiungere il Bologna in Serie B, quando gli azzurri erano ormai maturi per lo scudetto?
Certo, come si fa a non rimpiangere quella scelta? Purtroppo dovetti andare via per motivi seri, avevo i miei due figli piccoli e mi stavo separando da mia moglie, era un periodo davvero nero per me. Fu una scelta forzata.
È tempo di Bologna-Napoli ed allora ti chiedo qual è il primo incontro disputato nella città felsinea che ricordi.
(Pensa, è perplesso)
Credo sia la vittoria per 1 a 0 con gol di Savoldi su rigore nel 1975. Fu una bella gara, ce la giocammo alla pari, sapevamo che il Napoli di Vinicio era forte, anche gli azzurri fecero una gran partita, forse poteva finire in pareggio. Si vedeva la mano del tecnico con il gioco a zona, giocatori che facevano il campo su e giù come forsennati, un attacco forte col ‘Gringo’ Clerici e Braglia. Credo che il Napoli quell’anno perse solo con noi e due volte con la Juventus (n.d.r. Sì, è proprio così).
Lo interrompo e gli ricordo che lui era presente anche nella partita dell’anno prima, 5 maggio 1974. Finì 2 a 2, Clerici e Canè per il Napoli e Savoldi (ancora su rigore!) e Vieri per il Bologna. Allora attacca a farmi ridere.
Vedi, sarò rincoglionito ma quella partita non la ricordo, avevo solo 19 anni, che vuoi. Però posso dirti che Roberto Vieri, il vero ‘Bobo’ è lui non il figlio. Era un grande, aveva una tecnica sopraffina ma forse era il fisico a tradirlo, era veramente forte. Pensa che la Juve lo acquistò qualche anno prima per una cifra esorbitante per l’epoca per poi rivenderlo alla Roma in cambio di Capello e Spinosi.
Nel 1988/89 il tuo Bologna, allenato da Maifredi, torna in serie A. Giocate col Napoli il 7 maggio del 1989, segnano Lorenzo e Careca, pareggio anche stavolta. Cosa ricordi di quella partita?
Ricordo che avevo il numero 4 perchè Maifredi ci schierava con dei numeri strani, per lui l’uno era il portiere, poi c’era tutta una logica, dal 2 all’11, gli spazi, la zona, il pressing. Comunque ero sempre il regista della squadra, non ho mai giocato da libero, alla Bulgarelli per intenderci. Piuttosto quell’anno subimmo anche una scoppola (dice una “vangata”) per 3 a 1 in Coppa Italia, era un Napoli che faceva paura.
Più forte il Bologna di Pesaola o quello di Maifredi?
Per me quello del ‘Petisso’, nettamente. Con lui si stava bene anche fuori dal campo, non ti dico lo spasso (n.d.r. lo imita nella famosa frase “Io ho detto di attaccare ai miei ma la squadra avversaria ci ha rubato la idea…”). Era un Bologna forte e compatto con Roversi, Perani, Bulagrelli, Caporale, Rimbano, Savoldi e poi aveva una società alle spalle che contava molto, con il cavaliere Luciano Conti a far da presidente. La società viveva ancora di rendita per quanto fatto dal Bologna campione d’Italia nel 1964, quello del “così si gioca solo in Paradiso” come disse Bernardini.
Maifredi, invece, aveva puntato, e a ragione, sui giovani e propose un bel calcio, almeno prima di andare ad imbarcarsi alla Juve. La sua era una squadra d’assalto e furente nei reparti con i vari Luppi, il mitico Villa, De Marchi, Poli, Stringara. Alla fine però il bel calcio non stava pagando, ci salvammo per soli due punti mandando in B il ‘mio’ Torino.
Dimmi la verità, quale squadra ti è rimasta nel cuore di tutte quelle in cui hai giocato?
Guarda, non sarò retorico se ti dico tutte. Sono stato bene ovunque, a Bologna, a Torino dove ho vinto uno storico scudetto, a Firenze dove sfiorammo il titolo e a Napoli. La questione è che sono un tipo romantico, mi legavo sempre alla città dove giocavo e davo tutto o cercavo di dare tutto per la maglia con cui scendevo in campo. Mi sono sempre ambientato in fretta, ho sentito la città, l’ho vissuta, anche con qualche scappatella che può fare un giovane ‘fuori sede’. Napoli, ovviamente, mi è rimasta nel cuore, come fai a non innamorarti di questa città?
Un’ultima cosa : per chi tiferai tra Bologna e Napoli?
Per il Napoli.
Ma sei serio?
Certo, al Napoli servono i tre punti come il pane, il Bologna vivacchia a centro classifica, un punto in più o in meno non gli serve a nulla. Tifo sempre per le squadre che hanno più bisogno di punti, avrei fatto lo stesso se i punti servivano al Bologna. Al Napoli sono necessari i tre punti per continuare a stare dietro la Juve, una battuta d’arresto sarebbe veramente letale.
Poi guarda il mare di fronte, tira un sospiro lungo e mi dice. «Faccio un giro per la città, poi riparto».