Al CorSera: «Sono disamorato del calcio, non della Roma. Quando papà doppiava Er Monnezza, i miei amici mi ossessionavano per farsi mandare aff… da lui»
Il Corriere della Sera ha intervistato Claudio Amendola, grande attore e grandissimo tifoso della Roma, in occasione dell’uscita del suo libro in cui con tono divertito e tragicomico, racchiude vent’anni contraddistinti dalla passione politica e in particolare dall’adorazione per il comunismo (illusioni comprese) da parte di sua madre.
Amendola: «Sono disamorato del calcio, non della Roma»
Oggi cos’è la politica per Amendola?
«Non la vivo: la guardo e la piango, la amo e non la riconosco. Quando in tv vedo interviste a politici della prima Repubblica, mi sembrano degli statisti».
Claudio figlio d’arte. Suo padre era Ferruccio Amendola, altro grande doppiatore:
«Il paradosso era che per dare la voce a Tomas Milian lo pagavano dieci milioni di lire e per Robert De Niro (che fu sempre riconoscente con papà) uno. Quando i miei genitori si separarono, a 14 anni andai a vivere con mio padre a Formello e alle sue cene con gli altri doppiatori volevano venire i miei amici per sentire le voci degli attori, Sean Connery, Robert Redford. Papà quando doppiava Er Monnezza-tomas Milian diceva una infinità di parolacce e i miei amici mi ossessionavano per farsi mandare aff… da lui. Gli dicevo, pa’, devi mandare aff… un amico mio. E lui: ma perché, mi sembra una cosa da maleducati. Oggi mi diverte, allora mi sembrava una assurdità».
Il calcio, altra sua passione.
«Mi piaceva il calcio come sfottò e goliardia, negli Anni 80 allo stadio si andava con le damigiane di vino e le teglie di pasta, oggi non mi diverte più, a volte mi imbarazza vedere ragazzi così giovani che accedono subito a una ricchezza eccessiva. Nel ’90 feci Ultrà, divenne iconico ma mi creò vari problemi con la curva, fino allora avevo un legame forte col tifo organizzato. Fui attaccato dai romanisti».
Cosa pensa del licenziamento di De Rossi?
«È la chiusura del cerchio per cui detesto il calcio di oggi. I padroni sono stranieri che ti comprano come una rosetta e ti fanno diventare un filone di pane, senza metterci gli ingredienti giusti. Sono disamorato, non della Roma ma del calcio, che appartiene alle piattaforme. Oggi del Manchester City contano più i tifosi che ha in Asia di quelli inglesi».
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Lei dice di aver sempre guadagnato bene.
«Mi ritrovo in George Best, il calciatore: ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato. Viaggi, ristoranti esagerati, belle macchine, andare a vedere la Roma ovunque, orologi, e oggi nemmeno li porto al polso. Molti soldi li ho proprio buttati. Nessuna rivalsa, era il gusto di spenderli, la non preoccupazione per il domani».
Per esempio?
«A 18 anni mi arrestarono. Passai una notte a Regina Coeli per una bravata, avevo finito la benzina e la rubai da un’altra auto. Ebbi il processo, tre mesi con la condizionale e una multa di 300 mila lire».
Più tardi ci sarà la cocaina.
«Ho già fatto coming out. Come ne sono uscito? Una sera ero da solo con mio figlio Rocco. Stava male e per un attimo non ho saputo cosa fare. L’attimo dopo ero lucido e mi sono detto ora basta».