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Furlani: «Sognavo di essere Batman. Oggi mi sento ricchissimo, lo sport è come un salvadanaio»

Al CorSera: «Invidio Tamberi che ha potuto giocare a basket: a me hanno subito legato le mani. Lo sport mi educa, la musica rap mi allarga la mente».

Furlani: «Sognavo di essere Batman. Oggi mi sento ricchissimo, lo sport è come un salvadanaio»
Italy's Mattia Furlani competes in the men's long jump qualification of the athletics event at the Paris 2024 Olympic Games at Stade de France in Saint-Denis, north of Paris, on August 4, 2024. (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)

Mattia Furlani, bronzo alle Olimpiadi di Parigi nel salto in lungo, intervistato dal Corriere della Sera. Ha raccontato della sua famiglia e le sue abitudini fuori dalla pista d’atletica. E’ da poco uscita il suo libro “Il salto più lungo” scritto da Roberto Bratti.

Furlani: «Oggi mi sento ricchissimo, lo sport è come un salvadanaio»

«Lo sport è un grande salvadanaio dove cominci a mettere i tuoi risparmi da bambino accumulando un capitale che spenderai lungo una vita intera. Se chiudessi oggi la carriera per mancanza di motivazioni o di risultati, sarei comunque una persona ricchissima: dieci anni di sport mi hanno educato alla disciplina, alla fatica, al modo giusto di scoprire la vita. Provo a raccontare tutto questo nel mio libro, con parole e fumetti che da piccolo divoravo».

A chi si rivolge?

«Ai bambini invitandoli a praticare sport perché diventeranno persone migliori qualunque cosa facciano poi nella vita. Sogno che a fine carriera venga da me uno di loro per chiedermi un autografo sul libro dicendomi che l’ha ispirato. Per me, da piccolo, chi saltava in alto era Batman: volevo volare con lui».

All’inizio di ogni capitolo lei si risveglia in un ruolo diverso da quello del saltatore: velocista, baskettaro, calciatore…

«Ho cercato tante strade alternative pur sapendo che il mio talento era indirizzato verso i salti: ero irrequieto, volevo esplorare altri possibili futuri. Il basket è meraviglioso. Invidio Tamberi: il suo talento è sbocciato tardi e ha potuto giocare, a me hanno legato subito le mani per evitare infortuni. Il calcio è una religione che unisce atleti, tifosi e intere città».

Invidia i calciatori, la loro popolarità, i loro guadagni?

«Macché, li ammiro. Gestire la pressione ogni domenica davanti a tantimila spettatori è una responsabilità clamorosa».

Lei comincia saltando in alto (2,17 metri a 16 anni) grazie ai geni di papà Marcello, ex azzurro:

«Ma sono anche veloce come mamma Kathy (Seck, ex sprinter, ndr). Dovevo scegliere tra una specialità dove ti giochi tutto in 10 secondi e altre due in cui cerchi il gesto tecnico perfetto in ogni rincorsa».

Cosa pensa tra un salto e un altro?

Furlani: «Ripeto mentalmente un gesto fatto migliaia di volte in allenamento».

A bordo pedana ci pensa mamma Kathy. Il resto della famiglia?

«Tutti in pista. A papà il lavoro sporco: organizzazione, trasferte, supervisione. Mia sorella Erica è la guida spirituale, Luca, fratello videomaker e addetto ai social, ha ideato il libro».

Ha vinto il bronzo a Parigi: «Il rap mi allarga la mente. Sogno il salto di 9 metri, ma non so se sia possibile»

La sua colonna sonora?

Furlani: «Il rap mi allarga la mente. Sono cresciuto con Sfera Ebbasta e ho collaborato alla promozione dell’ultimo album di Astro».

La vacanza?

«Due settimane a Tenerife, adesso. Scherzo: sono qui per allenarmi al caldo per la nuova stagione. Per le vacanze c’è tempo».

L’amore?

«Da quando ho la patente, è ciò che mi ha spinto a fare il pendolare da Rieti a Roma verso casa di Giulia».

Lei come Tamberi: due showmen in pista…

«Gimbo è folle, è un artista irraggiungibile. Io se non riesco a portare fisicamente il pubblico con me in pedana non posso volare lontano. E per portarlo bisogna esaltarlo, anche giocando un po’».

Ha in testa la misura del salto della sua vita?

«Tutti sogniamo i nove metri, pianeta dove nessun umano è mai atterrato. Non so se sia una misura possibile. A volte quando prendi la rincorsa la linea del record ti sembra sulla luna altre volte pensi: è lì, ora vado e me la prendo».

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