Post-partita andreottiano. Ha parlato di retropensieri. Ha detto che non si sente sicuro e che tanti allenatori la pensano come lui. E siamo appena a novembre
Davvero Conte non conosce il protocollo o il suo era un messaggio al calcio italiano e alla Marotta League?
“A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina”. La frase è di un certo Giulio Andreotti. Ci è tornata in mente ripensando allo sfogo di ieri sera di Antonio Conte sia a Dazn sia in conferenza stampa dopo il rigore assegnato ieri sera all’Inter dall’arbitro Mariani e fortunatamente (non solo per il Napoli ma per il calcio italiano) tirato sul palo da Calhanoglu. Il rigore è stato definito leggero dall’emissario di Rocchi a Open Var (Damato). Ieri sera, facendo zapping tra le varie tv, non abbiamo trovato un solo calciatore che avesse detto “sì, è rigore”. Nemmeno Bergomi che praticamente è nato nella culla nerazzurra. Persino la Gazzetta dello Sport ha espresso dubbi: “Mariani macchia la serata con il rigore all’Inter (sbagliato da Calha). Tanti i dubbi”. È un rigore contemporaneo. Uno di quei rigori che stanno contribuendo a rovinare il gioco del calcio, peraltro con la scusa di renderlo più spettacolare. Vabbè lasciamo stare.
Fatta questa breve sintesi, torniamo a Conte. Con tutto il bene che vogliamo all’allenatore del Napoli, fatichiamo (e tanto) a credere che abbia scoperto ieri sera dell’esistenza del protocollo. Come un qualsiasi commentatore del lunedì al Bar “Volemose bene”. Ed è il motivo per cui Fabrizio d’Esposito ha associato a lui la categoria dello spirito dell’andreottismo. Dopo la partita, Conte aveva in mente una e una sola cosa. Inviare un messaggio chiaro a chi aveva orecchie per ascoltare. È arrivato a Dazn con questo obiettivo. La parola chiave è retropensieri. Quando dice: «Il Var se c’è un errore deve intervenire, punto e basta, altrimenti si creano retropensieri. Stiamo di nuovo trovando una situazione affinché ci siano di nuovo retropensieri da parte di tutti». Su quel “di nuovo” si potrebbero scrivere trattati. E ha aggiunto: «Io inizio a non sentirmi più sicuro, perché iniziano a dirmi che l’arbitro “no ma questa è una valutazione su cui non può intervenire”, quando conviene. Quando non conviene invece interviene. Il Var interviene per correggere un arbitro, punto e basta. Non che lascia la decisione all’arbitro, altrimenti si creano retropensieri su questa cosa».
Ha usato il termine retropensieri. Ha detto che non si sente più sicuro. E ha parlato di convenienza. Doveva dire altro? Antonio Conte ha sottolineato in maniera piuttosto netta che, ieri sera, se Calhanoglu non avesse tirato sul palo, il Napoli avrebbe perso la partita per un rigore che nessun ex calciatore avrebbe mai assegnato. Ha voluto dire che non si sente garantito dall’utilizzo del Var. Questo ha voluto dire. Ci sembra fin troppo ovvio che lui conosca il regolamento. E quindi il protocollo. Il messaggio è stato un altro.
Il messaggio politico di Conte
Un uomo di calcio lo sente quando il terreno che ha sotto i piedi è solido oppure no (al di là del rigore assegnato a Empoli a Politano: anche per noi quello non è rigore). C’è stato, nel secondo tempo, pure un evidente fuorigioco non fischiato a Dimarco che poi ha conquistato un calcio d’angolo. Secondo il protocollo se l’Inter avesse segnato dal quel corner, il gol sarebbe stato regolare. Sarebbe stato il trionfo di quelli che (e non sono pochi) da tempo parlano e scrivono di Marotta League. Anche se gli interisti si lamentano per un fallo di mano in area di Olivera che secondo Marelli è stato vagliato dal Var e giudicato non punibile.
Il punto non sono i singoli episodi. Il punto è il messaggio politico che Conte ha voluto lanciare. Lo ha fatto preferendo indossare i panni dell’avventore del bar, fingendo di non conoscere l’esistenza del protocollo. Un post-partita gestito alla Mourinho. Del resto il tecnico salentino è uno che ha sempre saputo incidere fuori dal campo come in campo.
Ieri, peraltro, è stata anche la giornata di un evidente rigore negato all’Udinese, in casa dell’Atalanta, non visto né dall’arbitro né dal Var. Un fallo di mano visibile quasi a occhio nudo. E qui l’emissario di Rocchi (sempre Damato e sempre a Open Var) ha addirittura parlato di errore. Diciamo addirittura perché quella arbitrale è sempre una versione sovietica. L’ammissione di un errore è più che una notizia, è un evento.
In un campionato da mucchio selvaggio, con sei squadre in due punti, gli errori arbitrali incidono eccome. Rischiano di diventare decisivi. E se non vogliamo parlare di errori arbitrali, parliamo di eccessiva discrezionalità arbitrale. Diciamo anche che ognuno fa come gli pare. Anche perché, e qui siamo all’altro passaggio importante del discorso, Conte ha detto che sono tanti gli allenatori che non si sentono garantiti (addirittura ha detto tutti) e che non hanno capito il funzionamento del Var. A noi pare che Conte abbia volutamente scelto la serata di ieri, dopo l’errore di Calhanoglu che quindi non ha inciso sul risultato della partita, per lanciare un messaggio. Non siamo neanche a metà novembre, sono state disputate dodici giornate, meno di un terzo. Di questo passo e con questa classifica il campionato italiano rischia di diventare una polveriera. Manca un metro di giudizio uniforme e questo è pericoloso. Le parole di Conte sono uno spartiacque della stagione. Sottovalutarle non porterà a nulla di buono per il nostro calcio.