Al Corsera racconta il carcere, l’incontro con Maria Falcone, i progetti futuri: «Sono stato troppo disponibile. Pagavo le bollette e facevo la spesa a chi non poteva»
Fabrizio Miccoli. Ai più giovani questo nome non dice nulla. A tutti gli altri evoca ricordi dolci e amari. Dolci come i suoi gol con la maglia del Palermo, amari per l’oltraggio alla memoria di Falcone che Miccoli chiamò «quel fango», per le frequentazioni mafiose. È finito pure in galera con l’accusa di estorsione nel 2017. Oggi Fabrizio è un uomo di 48 anni, ha scontato la sua pena (tre anni e tre mesi, dopo sei mesi di carcere ha ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali). Ha incontrato anche Maria Falcone, sorella del giudice vittima della mafia. Di seguito l’intervista al Corriere della Sera.
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Quanto è lungo un giorno in carcere? «È infinito». Quante volte ci ripensa in una settimana? «Ho messo un punto, una pietra su quello che ho vissuto».
Miccoli: «Sono stato troppo disponibile. Pagavo le bollette e facevo la spesa a chi non poteva»
Se guarda indietro cosa vede?
«Un grande errore commesso, la forza di reagire e affrontare il peggio con dignità, serietà e a testa alta. Vedo una parentesi amara che finalmente si è chiusa. Oggi faccio fatica a parlarne, vorrei mettermela definitivamente alle spalle. Sono un uomo libero, ed è una sensazione meravigliosa».
Continua:
«C’è la pace interiore che finalmente è possibile dopo l’incontro con Maria Falcone».
Cosa le ha detto?
«Non c’è stato bisogno di tantissime parole, ho incontrato una donna straordinaria che mi ha accolto con il sorriso. Ero emozionato e anche un po’ intimidito, ma vederla era un desiderio forte per spiegarle ancora una volta il significato di quelle parole. Dirle quanto mi fossi pentito. Quella vicenda ha fatto male a me ma soprattutto ai miei genitori. Per tanto tempo ho provato un grande senso di colpa nei loro confronti. Vergogna, quasi. Se ne sono uscito è grazie a loro, a mia moglie Flaviana e ai nostri figli Diego e Swami. Il loro sostegno è stato vitale. Questo ho raccontato alla dottoressa Falcone, lei ha compreso il mio dolore. Non smetterò mai di ringraziarla».
Poi si passa al pallone, la materia preferita da Miccoli. Come sono cambiati i ragazzi che sognano il pallone?
«Sono diversi, hanno meno fame, meno voglia di emergere. Loro hanno tutto, spesso giocano a calcio per divertimento e non perché hanno realmente un obiettivo da perseguire. Poi, certo, quando c’è il talento lo si coltiva e chi ce l’ha comincia a crederci e si impegna al cento per cento».
Lei sì che ne aveva di talento…
«Così pare! Ero il Maradona del Palermo, giusto? Quella città è stata tutto per me. Con la mia vicenda non c’entra niente il calcio e non c’entra niente Palermo. Ho fatto io un errore enorme. Sono stato molto ingenuo, troppo disponibile. Pagavo le bollette a chi non aveva soldi, facevo la spesa a chi non riusciva a mettere il piatto a tavola. Dio solo sa quante aste di beneficenza ho organizzato per i bisognosi, per comprare attrezzature da donare all’ospedale pediatrico».
E cosa mette all’asta?
«Alcune mie magliette da calcio, le più importanti, le scarpette della tripletta a San Siro…»
Ha ancora tanti amici?
«Guardi, ai tempi ne avevo diecimila. Oggi sono tre, ma va bene così. Bastano loro, sono fratelli. Molti sono scomparsi ma forse era naturale che accadesse».
I nomi?
«Roberto D’Aversa, Serse Cosmi, Francesco Moriero per esempio: persone che continuo a sentire tuttora anche per lavoro, uomini speciali».
In genere gli ex calciatori poi provano la carriera di allenatore. Non ci ha pensato?
«Certo, ho preso il patentino e ho anche allenato con Moriero la Dinamo Tirana. Ho capito però molto presto che non è un mestiere che fa per me. Per fare l’allenatore a livelli accettabili devi stare sul pezzo 24 ore al giorno, devi stare concentrato, mollare tutto il resto. Ecco, io non sono tagliato per questo. Lei ricorda com’ero io da calciatore?».
Lo ricordi lei…
«A volte non mi allenavo, ero poco attento all’alimentazione. Poi però tutti mi perdonavano perché in campo facevo gol, ed eravamo tutti felici».
Già, l’idolo Maradona, conserva sempre l’orecchino che ha acquistò all’asta per 25 mila euro?
«Certo, nessuno lo tocca. Se avessi potuto glielo avrei restituito, è un mio grande rammarico. Un giorno lo regalerò a mio figlio».