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Velasco: «Menomale che Dante è morto, sennò gli direbbero: bella la Divina Commedia, ma perché non scrivi una cosa migliore?»

L’allenatore dell’Italvolley femminile al Messaggero: «La pressione pesa e adotto il metodo Socrate: attraverso le domande cerco di far pensare. Ne esce che noi allenatori non facciamo niente, al limite facciamo fare agli atleti».

Velasco: «Menomale che Dante è morto, sennò gli direbbero: bella la Divina Commedia, ma perché non scrivi una cosa migliore?»
Italy's head coach Julio Velasco (C) celebrates with Italy's #18 Paola Ogechi Egonu and team mates after the volleyball women's quarter-final match between Italy and Serbia during the Paris 2024 Olympic Games at the South Paris Arena 1 in Paris on August 6, 2024. Italy won the match 3-0. (Photo by PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP)

Julio Velasco, allenatore dell’Italvolley femminile, spiega in un’intervista al Messaggero come sta andando la ripresa della squadra dopo l’oro vinto alle Olimpiadi di Parigi.

Velasco: «Dopo l’oro a Parigi dobbiamo immaginare di aver perso tutto per uscire dalla pressione»

Come si ricarica una squadra che ha vinto tutto?

«Continuare a vincere è molto difficile, è un meccanismo mentale che ancora non conosciamo bene, però qualcosa accade. Ci si allena allo stesso modo, non si è presuntuosi, ma poi ripetersi è arduo. Forse è l’obbligo di vincere, che pesa come una condanna. Meno male che Dante è morto, sennò gli direbbero: bella la Divina Commedia, ma possibile che ora non scrivi un’altra cosa migliore? Mi preoccupano questi meccanismi che provocano pressioni insostenibili. L’unico modo per uscirne è immaginare di aver perso e continuare a imparare da chi abbiamo battuto».

Lei adotta il metodo Socrate: più domande e meno risposte…

«Lo studiavo all’università e mi affascinava: incalzare l’interlocutore per provocare il suo processo creativo. Con i giocatori la comunicazione è univoca: parliamo, spieghiamo e critichiamo noi. Allora attraverso le domande cerco di far pensare. Alla fine una cosa è chiara: noi allenatori non facciamo niente, al limite facciamo fare ai giocatori; se non ci riusciamo, abbiamo fallito. E’ inutile essere bravi noi a gestire situazioni complicate se loro non sanno come fare. Noi allenatori siamo soprattutto insegnanti».

Il volley femminile ha ormai lo stesso pubblico di quello maschile, o di più…

«C’è stato un cambiamento culturale enorme. Il volley femminile ha fatto un grande salto sul piano atletico e motorio e sono sportive vere, prima invece le frenava la maternità, gli dicevano di “non fare cose da maschi”; a differenza di calcio e basket, non è una versione più lenta del volley maschile: c’è meno potenza nelle schiacciate e più difesa, il che piace molto perché gli scambi sono più lunghi».

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