Al CorSport: «Mi piacciono gli attaccanti che si sacrificano per la squadra, il mio modello è Morata. Al Milan volevo lasciare il calcio, non imparavo niente».
L’attaccante della Roma femminile (e dell’Italia) Valentina Giacinti ha raccontato al Corriere dello Sport come sta vivendo il periodo in Nazionale con l’arrivo del ct Andrea Soncin dopo il Mondiale 2023. Inoltre, ha parlato del momento più difficile della sua carriera, ovvero quando decise di lasciare il Milan per divergenze con l’allora tecnico Maurizio Ganz.
Giacinti: «Nell’ultimo periodo al Milan volevo lasciare il calcio, la Roma mi ha salvata»
Ha dichiarato di aver scoperto il piacere dell’altruismo… ma gli attaccanti non erano tutti individualisti?
«A me piace sacrificarmi. Da quando sono alla Roma ho capito che non scambierei mai la gioia di una vittoria con un gol. A volte mi dà più gusto pressare tutto il tempo o fare un movimento per liberare una compagna. I gol poi arrivano da soli, e ne sto facendo molti, quando li cerchi però diventano un’ossessione».
Mancherebbe un trionfo in azzurro per celebrare la generazione che ha cambiato il calcio femminile e l’Europeo s’avvicina. Ci andate con quale obiettivo?
«Adesso c’è un gruppo veramente forte. Abbiamo solo bisogno di conoscerci al 110% per fare l’ultimo step mentale: andare a queste competizioni non solo per fare bella figura. Partiamo però da una considerazione: ripartire dopo le figuracce degli ultimi due Europei, che sono stati di basso livello per noi».
Con il ct Soncin cosa è cambiato?
«Sentiamo tutte grande fiducia. E ci sono tante ragazze nuove che stimolano a migliorare anche noi della vecchia guardia».
È cresciuta con il mito di Vieri e di Patrizia Panico. Oggi ha altri modelli?
«Morata su tutti. Lo criticano sempre, ma è esemplare per come lavora per i compagni».
«Ho pensato di lasciare il calcio», disse qualche tempo fa…
«Nell’ultimo periodo al Milan stavo male. Uscivo dal campo e mi dicevo “oggi non ho imparato niente”. Non trovavo nessun senso. Così ho chiesto la cessione e sono andata alla Fiorentina dove ho fatto altri sei mesi brutti. Mi sono affidata a un mental coach per uscirne: vedevo tutto nero. Finché la Roma mi ha salvato. Sono rinata grazie alla felicità di chi mi circondava»..
Professionismo significa diritti e dignità. Siete però anche più esposte:
«Iniziamo a fare i conti con le critiche feroci. Sui social la gente si sfoga: è un problema enorme, al quale non si può solo rispondere “sono dei fake”. Sono convinta che ci vorrebbe un documento d’identità per iscriversi. Per alcuni non è niente, ma c’è chi interrompe la sua carriera perché non riesce ad andare avanti e chi arriva a compiere gesti estremi come il suicidio. Io non mi vergogno di dire che sto lavorando con una psicologa per stare meglio».
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