A La Stampa: «I campionati giovanili, compresa la Primavera, non sono allenanti: non preparano al professionismo. A 16 anni meglio andree a giocare in Serie C»

Davide Frattesi, centrocampista dell’Inter, ha rilasciato un’intervista a La Stampa in cui parla della sua vita privata, degli sport praticati oltre al calcio e della sua visione sul calcio giovanile e sul numero di partite in calendario.
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Frattesi: «Troppe partite, a un certo punto sei cotto»
Il marchio di fabbrica: i blitz dalla seconda linea.
«Una dote istintiva. Può essere allenata, ma bisogna partire da una base innata. Mi ha aiutato il fatto di essere stato attaccante nelle giovanili della Lazio: conosco bene l’area. L’atteggiamento dell’Inter agevola perché creiamo sempre tante occasioni. Poi giocavo a tennis ed è un po’ come andare a rete, però nel tennis è più rischioso perché l’avversario ti passa se sbagli il tempo».
Ha praticato altri sport da bambino?
«Nuoto, ma non potevo fare tutto. Mia mamma si è arrabbiata perché diceva che avrei dovuto continuare per migliorare una postura un po’ chiusa. È fissata con lo sport. Faceva boxe: allenamenti e sparring, non voleva combattere. In estate mi piace prendere qualche lezione di pugilato con lei. Ma non deve esserci mio fratello, altrimenti la situazione degenera. Mio papà corre le maratone, ha fatto il Passatore. Stiamo bene tutti insieme, facciamo sempre due settimane di vacanza ogni estate».
Quanto sarà difficile ripetersi? La risposta di Frattesi:
«Ci sono più squadre. Nella scorsa stagione c’erano solo la Juventus e un po’ il Milan. Adesso si sono aggiunte Atalanta, Fiorentina, Lazio e Napoli. Due squadre possono sbagliare, ma ci sono le altre. È un torneo molto più aperto».
Perché in Italia i giovani devono fare una trafila lunghissima prima di convincere i grandi club?
«Di base c’è qualcosa di sbagliato. Anche se, quando arrivi in una grande squadra, capisci che è difficile perché è
necessario vincere e quindi non è facile inserire i giovani. Ma nelle squadre piccole si potrebbe fare di più. I campionati giovanili, compresa la Primavera, non sono allenanti: non preparano al professionismo. Ricordo quando giocavo la Youth League: gli avversari andavano il doppio di noi. C’è un forte divario fisico. È meglio andare a giocare a 16 anni in serie B o C. Anche per l’esperienza di vita: cambi città e gruppo. La squadra Under 23 non è altrettanto formativa perché ci arrivi insieme a compagni con cui giochi da tempo».
Dovete affrontare una stagione lunghissima.
«Non mi lamento, siamo fortunati. Però stiamo andando un po’ oltre. Non lo dico per il numero di partite in sé quanto per le conseguenze sullo spettacolo. A un certo punto, tra Super Champions, Super coppa a Riyad e Mondiale per club, sei cotto. Così il rischio è che la qualità del gioco espresso venga un po’ meno»