Intervista alla Gazzetta: «Sarei potuto morire. Tornai ai boxi, ripulii la tuta sporca di sangue e ripartimmo. Non mi ringraziò, facemmo pace molti anni dopo»
Arturo Merzario, 81 anni, della provincia di Comio, è stato un protagonista della Formula Uno degli anni Settanta. Noto per la sua eccentricità, è passato alla storia per aver rischiato la vita pur di salvare Niki Lauda dopo il terribile incidente del 1976 al Nurburgring. La Gazzetta lo intervista con Luigi Perna. L’intervista è molto bella.
Perna ricorda che
Merzario fu testimone di un incidente che poteva finire in tragedia ed è passato alla storia. Era il primo agosto 1976 al Nurburgring, la Ferrari di Lauda andò in fiamme dopo uno schianto durante il GP di Germania e fu proprio Merzario a salvarlo.
Che cosa ricorda dei momenti che precedettero e seguirono l’incidente?
«Ricordo ogni dettaglio, potrei disegnare la scena. Sono uscito dalla curva e ho visto la macchina in testacoda, avvolta dal fuoco. Non sapevo che fosse Niki, ma qualcosa — non so che cosa — mi ha spinto a fermarmi subito, bloccando la mia Wolf fra il terrapieno e la sua vettura, in mezzo alla pista. Avrei potuto evitarlo e tirare dritto, come era successo tre anni prima a Zandvoort quando Roger Williamson finì bruciato, perché nessuno l’aveva aiutato a uscire dalla monoposto».
Chi c’era, oltre a lei, attorno a Lauda?
«C’erano Brett Lunger e Guy Edwards, che avevano sbattuto contro la Ferrari di Niki, rimbalzata in pista dopo l’urto contro il terrapieno e già incendiata. Io mi sono gettato fra le fiamme per liberarlo, ma ho dovuto desistere perché non riuscivo a slacciare le cinture di sicurezza, visto che erano incastrate fra le lamiere e che Niki si agitava. Poi è svenuto, direi per fortuna, e allora ho tentato una seconda volta e sono riuscito a tirarlo fuori».
Poi in che modo lo ha soccorso?
«Gli ho praticato la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco, imparati in un corso di pronto soccorso che avevo fatto a Napoli durante il servizio militare, per ottenere sette giorni di licenza… In seguito, il medico dell’ospedale di Adenau e quelli che hanno avuto in cura Niki per molto tempo hanno detto che quell’intervento ha evitato che andasse in coma, mentre aspettavamo l’arrivo di commissari e medici. Il più grosso problema per Lauda, oltre alle ustioni, era il fatto che avesse respirato gas contenenti resina, berillio e magnesio».
Ha mai pensato che sarebbe potuto capitare a lei?
«Certo, a freddo ho anche pensato che se Niki mi avesse trattenuto per un braccio, nella disperazione di salvarsi, sarei potuto bruciare anch’io. Ma non mi considero un eroe, ho agito per istinto. Ricordo che, tornato ai box, ho ripulito la tuta sporca di sangue con un fazzoletto imbevuto d’acqua e siamo ripartiti per la gara».
Lauda le è stato riconoscente in qualche modo?
«Non direi, almeno non subito. Quando è tornato a Monza, sei settimane dopo l’incidente, è passato davanti alla tenda della mia squadra, il team di Frank Williams, e non mi ha neppure salutato. Mi incazzai così tanto che non ci parlavamo più. Poi a settembre, mentre stavo disputando una gara della Interserie con l’Alfa Romeo sulla pista di Salisburgo, si presentò assieme a un amico e mi regalò un orologio Rolex. Io ero ancora arrabbiato e lo buttai via, lo prese uno dei meccanici».
Molti anni dopo, nel 2006, si riappacificarono. Merzario ricorda che negli ultimi tempi, prima di morire,
quando ci sentivamo al telefono o ci scrivevamo su whatsapp, Lauda scherzando si presentava così: “Ciao Arturo, sono lo str…zo”».