Vuole vincere lo scudetto e insegna al Napoli a giocare a diverse intensità. La sofferenza del secondo tempo è più di percezione che reale. L’importanza di Neres
Il Napoli ha un obiettivo chiaro
Non fatevi fregare da Antonio Conte, da quello che dice: il Napoli è una squadra in costruzione, questo è vero, ma è anche una squadra che vuole vincere. Che vuole quantomeno provarci. Che sa di poter restare attaccata all’Atalanta e all’Inter, ma solo a determinate condizioni. Prima tra tutte: vincere – non dominare: vincere, che è una cosa diversa – tutte le partite che non siano scontri diretti con le prime della classifica. Secondo Conte, il che non vuol dire sia vero, questi risultati si ottengono – e si otterranno – alternando fasi ad alta intensità e momenti di gestione, anche all’interno della stessa partita. È come se il Napoli, proviamo a interpretare il suo pensiero, giochi ogni settimana con l’intenzione di conquistare i tre punti mettendo anche da parte un po’ di energie in vista del futuro. In vista di un rush finale in cui per vincere, prima di tutto, servirà stare meglio degli altri. Non giocare meglio, stare meglio, che è una cosa diversa.
Da qui nasce la frase: non fatevi fregare da Antonio Conte, da quello che dice. Perché, come allenatore e come essere senziente, Conte sa – e quindi dice – che il Napoli visto nel secondo tempo della sfida contro il Genoa è una squadra debole o comunque non in grado di reggere l’urto con il campionato di Serie A – con la lotta di vertice, quantomeno. Allo stesso tempo, però, lo stesso Conte pensa che non andare sempre a mille, a maggior ragione quando il risultato è già indirizzato in un certo modo, è fondamentale per arrivare all’obiettivo finale.
È chiaro che quest’ultima parte del discorso sia del tutto opinabile. Che la modalità risparmio energetico attivata dal Napoli nella ripresa del match di Marassi potrebbe togliere qualche certezza e qualche punto agli azzurri, da qui a fine anno. Allo stesso tempo, però, non si può che ammirare la coerenza del progetto di Conte. Che, attraverso la tattica, l’atteggiamento e persino attraverso i cambi – ne parleremo – ha dimostrato e dimostra di avere tutto chiaro nella sua testa. E nella sua testa c’è l’obiettivo-scudetto.
Il miglior 4-3-3 possibile
Dal punto di vista puramente tattico, Genoa-Napoli ha dato l’ennesima conferma: Conte ha scelto il 4-3-3. E si tratta di un 4-3-3 puro, fluido al punto giusto. Diciamo pure poco. E che, come da prassi, si trasforma in 4-5-1 o al massimo in 4-4-2 quando la palla ce l’hanno gli avversari. Il fatto che i cambi forzati – ovvero le sostituzioni degli assenti Kvara e Buongiorno – siano stati fatti ruolo su ruolo, in qualche modo, ha sottoscritto ulteriormente la cosa. Il punto è che il 4-3-3 del Napoli, a Genova, ha funzionato benissimo (almeno nel primo tempo). Anzi, azzardiamo una frase più impegnativa: è stato il miglior 4-3-3 possibile.
Certo, anche la disposizione e i principi di gioco del Genoa hanno aiutato: la squadra di Vieira si è schierata con un 4-2-3-1/4-4-2 piuttosto ambizioso, con blocco difensivo medio-alto e fase passiva orientata sul pallone. Contro un avversario del genere, per dirla brutalmente, al Napoli è bastato alzare il ritmo e la qualità del palleggio per banchettare. Per muovere la difesa avversaria, per trovare spazi da aggredire. Anche e soprattutto sulle fasce, laddove il gioco degli azzurri era sembrato ristagnare nelle ultime settimane.
In alto, si vede il 4-3-3 puro del Napoli contro il 4-4-2 del Genoa. Sopra, invece, gli azzurri (in bianco) difendono col 4-5-1/4-4-2
Non a caso, viene da dire, tutte le grandi occasioni costruite dagli azzurri nel primo tempo nascono sugli esterni. Prima la traversa di Lukaku su cross di Politano, poi il tocco sottoporta del centravanti belga – sempre su suggerimento dalla destra. Infine, il gol di Anguissa. Ed è proprio prima del vantaggio azzurro che si vedono tutte le potenzialità del 4-3-3 di Conte quando gli avversari non si chiudono a riccio, ma provano a difendersi in modo meno passivo:
I continui movimenti di Olivera, McTominay e Neres hanno mandato in tilt la difesa del Genoa
Come si vede chiaramente da queste immagini, è tutto un gioco di scivolamenti, di incastri. Di sovrapposizioni interne ed esterne. Il Napoli decide di muovere il pallone sulla sinistra, e tra i tre giocatori che fanno parte di quella catena – Olivera, McTominay e David Neres – è come se ci fosse una vera e propria coreografia. Una sorta di balletto, con continui interscambi di posizione, che manda fuori giri la difesa avversaria. E apre spazi per andare al cross.
Certo, poi ci vuole anche altro. Per esempio ci vuole la qualità di Neres nel far scomparire il pallone un attimo prima di metterlo al centro. Oppure ci vuole che Anguissa svetti sul suo marcatore diretto con la forza di un centravanti di razza. Ma soprattutto, tornando ai concetti-base del 4-3-3, serve che il centrocampista camerunese legga perfettamente lo svolgimento dell’azione e vada a riempire l’area. Ad aggiungersi a Lukaku e Politano, come deve fare una mezzala del 4-3-3.
Possesso, qualità e David Neres
Per tutto il primo tempo, il Napoli è riuscito a giocare come nell’azione che si vede sopra. Chiaramente parliamo di approccio, di principi tattici e di intensità, non certo di esito sul campo: la squadra di Conte ha messo insieme il 70% di possesso palla e il 91% di passaggi riusciti. A questi numeri vanno aggiunti gli 8 duelli aerei vinti (contro i 3 del Genoa) e le 6 conclusioni tentate verso la porta di Leali, di cui 2 in porta (i due gol degli azzurri). Dall’altra parte del campo, il Genoa ha costruito poco, anzi diciamo pure niente: due tiri scoccati, di cui zero finiti nello specchio. Stop, fine delle trasmissioni.
Anche la punizione che ha determinato il gol di Rrahmani è arrivata attraverso la qualità del possesso e delle giocate: con un lancio mal calibrato dalla difesa, il Genoa ha praticamente regalato il pallone al Napoli; uno scambio veloce tra Olivera e Neres ha messo il brasiliano in condizione di puntare i suoi dirimpettai in velocità, col pallone attaccato al piede. In certe situazioni, per fermare Neres è quasi obbligatorio ricorrere al fallo. E anche questo è un fattore di cui è interessante parlare.
Prova a prendermi
Sì, perché David Neres è un giocatore dall’approccio e dai movimenti imprevedibili, soprattutto se schierato a sinistra, sul suo piede forte. A Genova è stato meno impattante rispetto alla gara giocata a Udine, eppure – l’abbiamo già visto – è risultato determinante nelle due azioni che hanno inclinato la partita dalla parte del Napoli. Ecco qualche numero: un assist decisivo, un passaggio chiave, il 100% di passaggi riusciti (26 su 26, non stiamo scherzando) e. soprattutto, 4 recuperi difensivi.
Più di ogni altra cosa, però, ciò che colpisce di David Neres – in qualche modo lo abbiamo già anticipato – è la sua capacità di non farsi bloccare né limitare. Certo, lo stile difensivo del Genoa non è stato né speculativo né tantomeno asfissiante, soprattutto nel primo tempo. Con Neres in campo e sulla sinistra, però, il Napoli diventa una squadra meno meccanica. In cui l’esterno offensivo non converge necessariamente verso il centro. In cui una sovrapposizione esterna può anche generare un cross in anticipo, cioè senza perdere un tempo di gioco. Ovviamente con questo non vogliamo lanciare una frecciata a Kvaratskhelia, ma resta il fatto che in sua assenza il Napoli abbia segnato cinque gol. E Neres ha messo la sua firma tre volte, in un modo o nell’altro.
Il secondo tempo
Ora, è inevitabile, bisogna parlare del secondo tempo. Del calo del Napoli, ma anche di un Genoa rinfrancato, più aggressivo, più determinato. Soprattutto nel pressing in zona avanzata di campo. Il gol di Pinamonti dopo cinque minuti, così come il tiro (sempre di Pinamonti) dopo pochi secondi dal fischio d’inizio, nasce da un pressing denso e aggressivo da parte degli uomini di Vieira. E da evidenti sbavature tecniche di quelli di Conte. Nel tennis li definiremmo errori forzati, e basta guardare queste immagini per capire cosa intendiamo:
I due momenti esatti in cui Politano e Di Lorenzo sbagliano il controllo del pallone: in entrambi i casi, sono attorniati da due giocatori avversari
Ora è chiaro, queste due occasioni – e, quindi, il cambio di inerzia della partita – sono il frutto di un approccio più blando e meno intenso da parte del Napoli. Dal gol di Pinamonti in poi, però, si può dire che la squadra di Conte sia riuscita a contenere il Genoa in modo abbastanza tranquillo. I numeri, in questo senso, sono inappellabili: dal minuto 50′ al minuto 93′, il Napoli ha concesso un solo tiro in porta, ovvero il colpo di testa di Badelj al 64esimo; l’altro pericolo vero, il tirocross di Balotelli non deviato da nessuno, è arrivato oltre il 90′. Per il resto, il Genoa ha messo insieme un possesso palla praticamente paritario a quello degli azzurri (51% – 49%), ma soprattutto ha portato più contrasti (24-9) e ne ha vinti di più (16-8).
Dal punto di vista tattico, questa inversione dei poli – con conseguenze relative, soprattutto grazie alle parate di Meret – si spiega tornando al concetto di intensità che abbiamo già utilizzato, in questo spazio, in occasione di Udinese-Napoli. Per dirla in modo semplice: il Napoli ha bisogno di muovere il pallone con precisione e velocità, quindi intensamente, per essere pericoloso. Ecco, nella ripresa di Marassi questa intensità non c’è stata. La squadra di Conte, lo abbiamo detto e visto, ha finito per subire l’iniziativa del Genoa. E questo è un problema, naturalmente. Ma l’ha fatto concedendo poco: 2 conclusioni dentro lo specchio della porta in 45 minuti di gioco (dal 50esimo al 95esimo), di cui una su cross balordo non deviato da nessuno, sono un’ottima media.
Anche in questo senso, come succede sempre, i numeri ci vengono in soccorso. Sapete quanti tiri hanno tentato Genoa e Napoli tra il minuto 50′ e il minuto 95′? Risposta: 6 per parte, e anzi la squadra di Conte ne ha costruiti di più (4-2) su azione manovrata. Forse, come dire, la sofferenza di cui si è parlato – di cui ha parlato anche Conte – è un dato relativo. O, comunque, più percettivo che reale.
Meno qualità
Alla fine l’analisi del secondo tempo di Genoa-Napoli è decisamente più semplice di quanto sembri. Molto banalmente, la squadra di Conte ha perso intensità e qualità nelle giocate tra difesa e centrocampo. Perché il Genoa ha alzato il suo ritmo, perché era impossibile che il Napoli tenesse quei livelli per un’intera partita. Ed è qui, esattamente in questo punto, che Conte lavora e dice bugie. Perché, come il tecnico ha tuonato in conferenza stampa nel postpartita, è vero che certi cali non sono tollerabili. Ma è vero pure che il Napoli, dopo la botta dell’1-2, è tornato dentro la partita e alla fine l’ha condotta in porto. Risparmiando un po’ di energia nonostante due defezioni importanti come quelle di Buongiorno e Kvaratskhelia (almeno per la prima parte di gara).
Dal punto di vista della filosofia tattica, la natura del nuovo Napoli è più complessa da spiegare. Ma proviamoci: oggi come oggi, nella mente di Conte c’è una squadra che sappia dominare il gioco. E che, al tempo stesso, sappia anche venir fuori dalle partite in cui non può o non riesce a farlo. Il fatto che lo switch tra queste due “visioni” avvenga a Genova, sullo 0-2, forse non è il massimo della vita. Ma quella capacità di soffrire, di restare attaccati alla vittoria (o comunque a un risultato positivo) senza dominare il possesso, difendendosi in maniera accorta e diciamo anche contratta, può tornare utile in altri momenti. In altri contesti.
Conclusioni
Si devono leggere così i cambi nel finale (l’ingresso di Spinazzola e il passaggio alla difesa a cinque sono una pennellata d’artista) e poi la gestione del pallone nei minuti di recupero della ripresa – sarebbe meglio dire il non gioco, ma tutto questo durerà finché non sarà istituito il tempo effettivo. Insomma, il Napoli di Conte vuole provare a vincere le partite centellinando gli sforzi, dosando le energie e il grande calcio che può/sa sciorinare, non va in campo per strafare 90 minuti su 90. Forse non è una squadra ancora perfettamente pronta per questo genere di approccio, ma Conte vuole che lo diventi.
Il tempo e solo il tempo potrà dire se si tratta di una scelta giusta. Se alla fine il Napoli riuscirà a centrare obiettivi prestigiosi, grazie a questo doppio modo di intendere il gioco del calcio. Quel che è certo è che ritrovare solidità ed efficacia difensiva era necessario perché gli azzurri tornassero a coltivare ambizioni di vertice. In questo senso, il fatto che il Napoli – dopo l’esordio-shock di Verona – abbia perso punti solo con Juventus, Inter, Atalanta e Lazio vorrà pur dire qualcosa.
Ecco, forse in questo senso si può dire che Genoa-Napoli ha dato dei segnali importanti: i primi 45′ ci hanno detto che un certo Napoli (quello del 4-3-3, che fa possesso palla, che coinvolge poco Lukaku, che può rinunciare a Buongiorno e a Kvara, ecc.) è una squadra in grado di giocare in modo dominante, di schiacciare un avversario che non si difende in area di rigore. Ed è su quella squadra che Conte può – anzi: deve – lavorare per poter andare in vantaggio, in tutte le partite e anche negli scontri diretti. L’altra versione del Napoli serve per conservarli, quei gol di vantaggio. Piaccia o meno, Conte la vede in questo modo. La classifica, anche senza aspettare i risultati dell’Inter e dell’Atalanta, dice che questo è il modo giusto.