«Sei mesi dopo aver smesso di giocare, piangevo senza sapere perché, volevo solo dormire. Nessuno può capire la depressione se non l’ha conosciuta. Avevo bisogno di affetto e chi mi stava vicino non me l’ha dato».
L’indimenticabile ed indimenticato bomber del Lecce Javier Ernesto Chevanton ha concesso un intervista a La Gazzetta dello Sport dove ha parlato di alcuni momenti difficili della sua vita, raccontandosi e raccontando della sua attuale situazione lavorativa e personale.
«Come mai non lavoro nel Lecce? Non è una domanda per me, ma per altri… Nel mio piccolo ho fatto bene nelle giovanili. Mi dispiace tantissimo non essere dentro, mi piacerebbe tornare, il rapporto con la dirigenza resta ottimo».
Rapido nello stretto, con un piede destro piccolo e sensibile in grado di indirizzare il pallone dove vuole con una potenza insospettabile, Ernesto Javier Chevanton è stato nei suoi anni migliori un bomber in grado di entusiasmare in patria con il Danubio e in Italia con il Lecce. Qui diventa un beniamino, conquistando i tifosi.
Chevanton racconta come tutto possa diventare nero quando la carriera finisce e i riflettori si spengono: «Sei mesi dopo aver smesso di giocare, torno a casa e poi… il buio. Piangevo senza sapere perché, volevo solo dormire. Se andavo fuori, sentivo una fitta al petto. Facevo due gradini e dovevo tornare dentro. Le pillole, poi, finivano solo per stordirmi. Nessuno può capire la depressione se non l’ha conosciuta. Avevo bisogno di affetto e chi mi stava vicino non me l’ha dato. Finché una sera sono stato a un passo dal farla finita, per fortuna non è successo».
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«Come se ne esce? Facendosi aiutare da specialisti, psicologi, psichiatri. Condividendo la tua esperienza con chi ha lo stesso problema: la depressione tra gli ex calciatori è molto più comune di quanto si pensi. C’è una forza che ti tira su quando stai affondando: serve tempo e aiuto, ma tutti possono salvarsi. Se ne parla poco e niente, l’ho detto pure a Coverciano. Nessuno è davvero preparato per il momento in cui smetterà di giocare, soprattutto se non ha altro che lo accenda fuori. Il mio male veniva da lontano: l’ho accumulato negli anni, poi è esploso».
La vita oggi a 44 anni è molto diversa: «Vado nella mia tenuta la mattina presto e faccio lavoretti da subito: ora sto costruendo una voliera di 11 metri. Poi do da mangiare agli animali, curo l’orto. A volte, vado via la sera senza neanche pranzare. Oltre alla campagna, c’è la palestra, almeno tre volte a settimana. Ora faccio kickboxing, mi alleno più adesso che prima… . Rispetto tutti, ma ho capito che questa è la vita vera. Anche io ho conosciuto il lusso, ma non ero felice davvero. Adesso mi bastano piccole cose per stare sereno: andare a pesca, piantare qualche lattuga, dare vino, olio e uova ai vicini. Se sono felice? Non lo so, ma faccio quello che mi fa stare bene, senza obblighi, e non manca mai un piatto caldo a me e alle mie figlie che adoro. In questa quiete mi riprendo il tempo che non avevo per scavare dentro me stesso. E voglio invecchiare qui, con i miei animali, nel mio Salento».