Il Napoli ha vinto perché oggi sa fare più cose, legge i momenti della partita, Conte ha dato ai calciatori gli strumenti per far male all’Atalanta
Intelligenza e qualità
Il Napoli torna da Bergamo con una vittoria dal peso specifico enorme. Per il valore dell’Atalanta, naturalmente, ma anche per il modo il cui è maturata. La squadra di Conte, infatti, è riuscita a portare a casa una partita durissima, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista tattico. E l’ha fatto nell’unico modo possibile: mescolando in dosi giuste intelligenza e qualità. L’intelligenza si è manifestata chiaramente lungo quei segmenti di gara in cui gli azzurri hanno giocato in maniera reattiva, cioè si sono adattati a degli avversari superiori sotto alcuni aspetti. La qualità, invece, è servita a indirizzare e poi a consolidare il risultato, a segnare tre gol nonostante l’inerzia della serata, dopo il vantaggio di Retegui e il pareggio di Lookman, sembrasse tutta dalla parte di Gasperini e dei suoi calciatori.
Le parole che abbiamo appena usato, però, sono da spiegare bene. Perché a prima vista potrebbero far pensare a un Napoli che ha giocato di rimessa, aspettando l’Atalanta per poi ripartire. Non è così. Nel concetto di qualità che abbiamo enunciato prima c’è anche la qualità intesa in senso tattico, cioè come efficacia del sistema messo a punto da Conte. Anche e soprattutto in chiave offensiva.
E in fondo sta proprio qui la grandezza di questo nuovo Napoli: è una squadra in grado di interpretare le partite. Di dominarle quando deve e può farlo, di risparmiare energie nei momenti giusti. E, perché no, anche di chiudersi quando non ci sono alternative. Per esempio, ed è successo ieri sera, quando l’Atalanta ha alzato al massimo l’intensità e cercato di travolgere i suoi avversari. Ecco, Conte e i suoi uomini stavano per farsi travolgere, sono riusciti a rimanere in piedi e poi hanno reagito. Fino a sferrare dei colpi che hanno costretto l’Atalanta ad andare al tappeto. Dopo 14 gare senza sconfitte.
Alta intensità, alta pressione
Dal punto di vista dei moduli di gioco e degli uomini, Atalanta-Napoli è iniziata senza grosse sorprese. Conte ha confermato il suo undici titolare, solo con il rientrante Olivera al posto di Spinazzola. Gasperini ha sostituito Koussonou (infortunato) e Kolasinac (squalificato) con Djimsiti e Scalvini, e poi ha inserito Samardzic – e non De Ketelaere – dal primo minuto accanto a Lookman e Retegui, alla prima da titolare dopo l’infortunio che l’ha tenuto fermo nelle ultime settimane.
Molto più sorprendente, invece, lo sviluppo tattico dei primi minuti di gioco. Il Napoli, infatti, ha iniziato la gara cercando di andare a prendere forte l’Atalanta nella sua metà campo, alzando il baricentro, l’intensità del pressing e soprattutto i laterali difensivi: Di Lorenzo e Olivera salivano spesso per andare a contrastare subito Ruggeri e Bellanova, anche a rischio di scoprire un po’ la difesa. Certo, sia Politano che Neres si sono spremuti fin da subito nei ripiegamenti, ma questo atteggiamento ambizioso non ha permesso all’Atalanta di aggredire e azzannare dall’inizio il match.
In questi due frame, si vedono Di Lorenzo e Olivera che pressano alto, fino dentro la metà campo avversaria, i giocatori dell’Atalanta
Dal punto di vista offensivo, il Napoli ha approcciato la partita utilizzando il possesso palla come strumento per addormentare un po’ il gioco. Quasi come a voler compensare l’alta intensità con cui si è difeso. La squadra di Conte ha provato a costruire soprattutto a sinistra, anche perché Gasperini ha schierato Éderson – più dinamico di De Roon – dal lato di Di Lorenzo e Politano. Questa mossa ha in qualche modo costretto gli azzurri ad andare più verso Olivera e Neres, a loro volta ben contenuti da Bellanova, De Roon e Djimsiti.
Al centro, almeno inizialmente, Hien ha giocato un’altra partita sontuosa come marcatore a uomo – e a tutto campo – di Romelu Lukaku. Che però, rispetto alla gara d’andata giocata a novembre, ha mostrato di aver fatto dei progressi enormi. Sia dal punto di vista della pura mobilità che nelle interazioni con i suoi compagni. Anche se è stato sconfitto in diversi duelli uno contro uno (3 palle perse nei primi 15′ di gioco), insomma, il centravanti belga ha comunque creato scompensi nel sistema difensivo dell’Atalanta.
Tutti i palloni giocati da Lukaku durante la partita contro l’Atalanta (in questo campetto il Napoli attacca da destra verso sinistra)
Incassare, reagire, dominare
L’Atalanta è passata in vantaggio con Retegui al termine di un’azione impostata e rifinita bene, ma anche confusa. Su cui il Napoli forse ha difeso schiacciandosi troppo, ma è vero pure che prima del tiro decisivo del centravanti italo-argentino c’erano cinque giocatori dell’Atalanta nell’area avversaria. Inoltre, come se non bastasse, Retegui ha vinto un rimpallo prima di scoccare una gran conclusione di sinistro in girata. Questa puntualizzazione sul rimpallo vinto non toglie niente alla gran giocata dell’attaccante della Nazionale, ma in qualche modo “scagiona” ulteriormente la difesa del Napoli dal punto di vista puramente tattico.
La stessa cosa non si può dire della difesa dell’Atalanta sul gol di Politano. Il Napoli, infatti, è andato sotto ma non ha cambiato atteggiamento. Nel senso che non è arretrato. Anzi, ha trovato il modo di sfruttare l’unico bug nel sistema di Gasperini: l’eccessiva distanza che si determina tra i reparti in alcune situazioni di gioco. Per esempio quando i tre centrali difensivi non riescono ad aggredire velocemente su un pallone lungo e verticale:
Cosa può determinare un lancio lungo del portiere
Il pallone rilanciato da Meret è ovviamente casuale, ma il passaggio forzato dell’Atalanta e l’uscita tempestiva del portiere azzurro si determinano a partire dal pressing del Napoli. Dall’aggressività di Anguissa e McTominay sui portatori di palla avversari. La spizzata di Lukaku dà il via a una manovra su cui gli uomini di Gasperini fanno fatica a difendere perché non sentono il contatto fisico con l’avversario. E quindi non possono tentare l’anticipo, non possono entrare duro, devono solo limitarsi a contenere. Non ci riescono, perché David Neres è semplicemente incontenibile. E perché Politano legge benissimo lo sviluppo dell’azione, lascia la sua comfort zone e (soprattutto) non si fa pregare quando è il momento di battere a rete: tiro fortissimo e Carnesecchi battuto.
Questa azione dimostra che il Napoli, prima della partita, ha lavorato sulle cose che fanno male all’Atalanta. Conte ha studiato l’avversario e ha dato ai suoi giocatori gli strumenti per giocarsi la gara alla pari. Anzi, addirittura per interpretarla meglio. Si vede chiaramente in occasione del secondo gol, arrivato 12 minuti dopo il primo: anche in questo caso, tutto parte dal pressing alto di Anguissa. Su una palla inattiva, per altro. Il centrocampista camerunese segue e aggredisce Éderson, lo costringe a perdere contatto col pallone. David Neres, lì a pochi passi, fa un colpo di tacco che non è neanche così geniale, è semplicemente la soluzione più efficace in quel momento. L’Atalanta è di nuovo sorpresa, McTominay è freddissimo a seguire l’azione e a battere Carnesecchi con un altro tiro senza indugi, risoluto. Forte.
Anche la presenza di Olivera, pure lui in area di rigore a seguire l’azione, non è casuale
Queste due azioni, lo abbiamo spiegato, non sono casuali. Così come non è casuale che il Napoli sia andato in gol con i primi 2 tiri in porta della sua partita. A dirlo sono altri dati: quelli relativi al periodo di gara che va dal minuto 23 all’intervallo, in cui gli azzurri hanno costruito 4 azioni manovrate trasformatesi in conclusioni verso la porta di Carnesecchi, hanno forzato più palle perse rispetto agli avversari (10-7), hanno tenuto di meno il pallone (55%-45%) ma sono riusciti a vincere tutti i contrasti tentati (4), limitando l’Atalanta a un solo tiro tentato – finito per altro fuori dallo specchio. Insomma, il Napoli ha dominato la seconda metà del primo tempo. Dopo aver subito un gol come quello di Retegui, contro un’avversaria come l’Atalanta, è davvero tanta roba.
È difficilissimo reggere contro l’Atalanta
In apertura di ripresa, molto semplicemente, il Napoli si è fatto schiacciare dall’Atalanta. O meglio: la squadra di Conte pensava di potersi difendere restando (più) bassa e (più) compatta, soprattutto rispetto a quanto fatto nel primo tempo. Non è andata così, anche perché i giocatori di Gasperini hanno messo in mostra la parte nuova del loro repertorio: la capacità di far male agli avversari non solo con l’esuberanza fisica, ma anche con la pura tecnica. Un po’ come avvenuto con Retegui nel primo tempo, anche Lookman nel secondo ha sfruttato un rimpallo favorevole per trovare una gran conclusione. Prima però, come detto, il Napoli non è riuscito a venir fuori come nel primo tempo. E allora ha optato/è stato costretto per la trincea.
Tutti dentro la trequarti difensiva, anche Romelu Lukaku
Le statistiche relative al primo quarto d’ora della ripresa (il pareggio di Lookman è arrivato al minuto 55) sono eloquenti: l’Atalanta ha toccato il 78% di possesso palla, ha tirato 5 volte verso la porta di Meret e in 2 occasioni ha centrato lo specchio, ha costretto il Napoli a 10 palle perse e gli ha concesso zero conclusioni in porta. È difficilissimo reggere contro una squadra in grado di esercitare questa pressione, e infatti il Napoli non ha retto. O meglio: ha concesso un pareggio a quel punto praticamente inevitabile, ha continuato a subire l’iniziativa dell’Atalanta (il colpo di testa nello specchio di De Ketelaere, subentrato a Retegui, arriva al minuto 69) ma poi ha saputo trovare nuova linfa. Anche grazie ai cambi controintuitivi di Conte e alle energie conservate mentre l’Atalanta accelerava al massimo.
André-Frank Zambo Anguissa (e Leonardo Spinazzola)
L’inserimento di Spinazzola al posto di David Neres, al minuto 73, aveva tutte le sembianze di una dichiarazione di resa: nel linguaggio in codice degli allenatori, almeno secondo i giornalisti, far entrare un terzino al posto di un esterno significa accontentarsi del pareggio. E invece Conte ha fatto una scelta intelligente, al di là del fatto che l’esterno brasiliano era ammonito: con Spinazzola largo a sinistra, il Napoli ha potuto consolidare di più il possesso di palla in quella zona di campo. In modo da addormentare la partita, da controllarla. Ma anche per poter sfruttare ancora, ancora una volta, gli spazi determinati tra i giocatori e tra i reparti di Gasperini. Come? Con le rotazioni e gli inserimenti dei centrocampisti. Primo tra tutti: André-Frank Zambo Anguissa.
Adesso spieghiamo questo campetto
Sopra potete vedere tutti i palloni giocati da Anguissa nell’ultima mezz’ora di gara. È una mappa che va ovunque, che mostra i movimenti di un giocatore libero di esplorare tutto il campo. Soprattutto in senso offensivo. È liberando Anguissa, non solo inserendo Neres nello slot che fu di Kvaratskhelia, che il Napoli di Conte ha ricominciato a macinare gol nelle ultime settimane. A Bergamo, il secondo assist di giornata del centrocampista camerunese è arrivato proprio grazie a un suo inserimento lungo, sull’esterno. Grazie a questa intuizione, Anguissa ha sfruttato lo spazio aperto dal rimorchio di McTominay e così ha attaccato il campo alle spalle della difesa, ha chiamato lo scambio a Spinazzola, ha costretto Hien a seguirlo e a lasciare Lukaku alla marcatura di Scalvini. Che è fortissimo, almeno in potenza, ma non è Hien. E infatti il centravanti belga l’ha spostato facilmente prima di battere Carnesecchi.
Tutto molto lineare, ma non semplice
Senza Spinazzola in campo e senza l’interpretazione offensiva di Anguissa, il Napoli non avrebbe segnato questo gol. E quindi la mano e il lavoro in itinere di Conte sono più che evidenti: sono determinanti, sono decisivi. Anche perché l’Atalanta, spompata dal suo stesso tentativo di recuperare e poi vincere la partita, non aveva più energie per rimettersi davvero in piedi. Lo dicono i numeri: dopo il gol di Lukaku, nonostante il 66% di possesso palla, la squadra di Gasperini è riuscita a mettere insieme un solo tiro in porta, per altro poco più che velleitario.
Conclusioni
Nel finale, l’ingresso di Mazzocchi per Politano è stato l’ultimo tocco di mastice alla fase difensiva quasi sempre perfetta del Napoli. Anche a Bergamo, anche contro l’Atalanta, la squadra di Conte ha dato l’impressione di essere lucida e soprattutto solida. È vero, ha incassato due gol: un evento che non si verificava proprio dalla gara d’andata contro Gasperini e i suoi giocatori. Ma in entrambe le occasioni non è stata una questione tattica, piuttosto una dimostrazione di forza e di qualità da parte dei giocatori avversari. Ed è anche per questo che i tre punti conquistati, alla fine, hanno un valore intrinseco decisamente più alto.
Conte, infatti, ha dimostrato di saper sopperire alle assenze (quella di Kvara, ma non dimentichiamo quella di Buongiorno) col lavoro. E cioè con il progresso tecnico-tattico della squadra, per effetto dello sviluppo individuale – per esempio la crescita di Lukaku, il cambio di attribuzioni di Anguissa e Spinazzola, ecc. – e delle connessioni tra i giocatori che la compongono. Da questo punto di vista, la lettura, l’interpretazione e la gestione di una partita come quella di Bergamo, contro una squadra come l’Atalanta, è un segnale inequivocabile: il Napoli può lottare fino in fondo per il primo posto.
I meriti, quindi, vanno soprattutto a Conte. A un allenatore che ha messo in discussione alcuni suoi capisaldi, che continua a farlo e che ha rivitalizzato una squadra forte, di qualità. Attraverso la cultura del lavoro e del sacrificio, ma anche attraverso idee calcistiche nuove, ambiziose, intelligenti. L’ha detto proprio Conte prima del match contro l’Atalanta: «Non si fanno 47 punti in 20 giornate se non si propone e non si produce qualcosa di bello». Ora i punti sono 50, e il Napoli non dovrà più affrontare la squadra di Gasperini. L’Inter, invece, sì.