Guai a lasciarsi risucchiare. Lo scudetto è stato vinto con una squadra estranea al tessuto cittadino. E De Laurentiis si è perso appena è stato osannato
Conte resti straniero a Napoli, altrimenti è la fine (ma lui lo sa già)
Hanno ragione i giornalisti di Libero che oggi hanno pubblicato un articolo il cui senso è racchiuso nelle prime righe: “L’Antonio Conte di qualche anno fa sarebbe diventato una furia nel vedere tutta quella gente all’aeroporto di Capodichino. Cos’è sta roba? Non abbiamo mica vinto lo scudetto”. È profondamente vero. Anche se l’episodio va contestualizzato. In quel marasma Conte, forse pure emozionato per quel bagno di folla (ci mancherebbe), non aveva scelta. E magari ha preso il megafono anche nella speranza di accelerare l’operazione “ritorno a casa”.
È inutile stare qui a spiegare che festeggiamenti alla ventunesima giornata di campionato, quando si è praticamente in testa a pari punti con un’altra squadra (peraltro più forte), sono qualcosa di estraneo a qualsiasi manuale della vittoria. A qualsiasi approccio adulto alla competizione sportiva. Ma non è che possiamo metterci a spiegare noi a Conte come si raggiunga la vittoria. Il nostro pensiero è che non avesse altra scelta. E che in cuor sabato notte avrà capito ancora di più quanto sia accidentata da queste parti la strada che conduce al successo. Non siamo proprio tarati sul raggiungimento della vittoria. Non è una questione genetica. È una questione di ambiente.
Va detto che la vittoria per 3-2 in casa dell’Atalanta è stata orgasmica. Una delle partite più intense ed emozionanti della storia del Napoli. A Bergamo ci credevano eccome. Bastava vedere le facce dei Percassi in tv e le dichiarazioni lunari di Gasperini a fine match. Il Napoli la partita l’ha vinta nettamente. E sono i sedici minuti finali, quelli dalla rete di Lukaku fino al fischio finale, che certificano la vittoria per KO. L’Atalanta non c’era più. Era stata schiantata. E se Carnesecchi non ha compiuto nemmeno una parata (Gasperini dixit), Meret ne ha fatta solo una e nemmeno tra le più complesse del campionato.
Archiviata la goduria, resta praticamente un intero girone di ritorno da giocare. Diciassette partite. Contro la squadra nettamente favorita (l’Inter) e con l’Atalanta che può sempre rientrare (è a sette punti). Qui scriviamo l’ovvio: Conte resti estraneo alla città, altrimenti è la fine. Sappiamo che non ce n’è bisogno. Però vorremmo raccontargli che il Napoli lo scudetto lo ha vinto proprio quando la squadra è rimasta estranea alla città. La stagione record è nata sull’onda di una ferocissima contestazione a De Laurentiis reo di aver venduto i presunti calciatori più forti (oltre che più napoletanizzati) come Mertens, Koulibaly, Insigne, aggiungiamo Fabian Ruiz e di aver acquistato degli illustri sconosciuti come Kvaratskhelia e Kim. Kim venne anche deriso con uno striscione che ricordava le Kim pacchetto di sigarette. Kim, Kvara, Osimhen non parlavano italiano, non capivano un’acca, non vivevano la città. Per fortuna. Sennò non avremmo mai vinto.
Non solo. Ma per circa vent’anni, Aurelio De Laurentiis è stato aspramente contestato a Napoli. Gliene hanno dette di tutti i colori (la città lo ha sempre chiamato pappone). Una volta vinto il campionato (con quei calciatori considerati scarsi in estate), De Laurentiis è diventato il re di Napoli. È stato portato in trionfo. Da un giorno all’altro non è stato più il nemico numero uno della città ed è stato acclamato ovunque. Risultato: lui si è inebriato, si è innamorato del consenso, e ha smesso di essere il lucido presidente che è sempre stato. E di conseguenza il Napoli ha vissuto quella che possiamo considerare la peggior stagione della sua presidenza. Stagione di macerie che però ha consentito l’arrivo di Conte.
Napoli è bella e cara ma va attraversata con i tappi di cera, oppure ben legati a un tronco. Come Ulisse con le sirene.
Ci fermiamo qua, anche perché – ripetiamo – con Conte siamo di fronte all’incarnazione del significato di Vittoria (peraltro nome di sua figlia). Come si dice a Napoli, una parola è poca e due sono troppe.
post scriptum
In origine si tratta di una forma di protesta. La tifoseria organizzata va a Capodichino ad accogliere la squadra per protestare contro il divieto di trasferta anche per chi ha la tessera del tifoso. “Non ci fate andare in trasferta, e allora vi accompagniamo all’aeroporto e veniamo a prendervi all’aeroporto”, questo è il senso. Resta il fatto che è passato il concetto di festeggiamenti. E che potrebbe costituire un pericoloso precedente. Pericoloso perché sottrae energie e ogni energia va destinata ad altro.