Chievo-Napoli, la partita non guardata. Una volta, i gialloblù erano il nostro Real Madrid. Ora abbiamo visto il Real Madrid, e il Chievo non fa più paura.
Le mie scuse a Quagliarella
Permettetemi di aprire con Fabio Quagliarella. Non l’ho mai offeso per la sua scelta di andarsene dal Napoli, ma l’ho sfottuto in più di un’occasione; per come la vedo io, oggi è tempo di chiedergli scusa e di augurargli un po’ di serenità. Cose così fanno riflettere, si torna sempre a un punto: non sappiamo niente di quello che accade nelle vite degli altri, eppure parliamo, eppure diciamo la nostra; questo aspetto non ci fa diventare cattivi, mostra solo quello che siamo, esseri umani, la roba più imperfetta che esista.
Il Chievo era la mia ansia
Che settimana è stata quella appena terminata. Doverci concentrare sul Real ha fatto sì che mi distraessi dall’ansia di cui – come sapete – soffro: l’ansia Chievo. Ansia che in passato mi ha fatto scrivere cose come: Il Chievo è il mio Real Madrid. Oppure: Pellissier è il mio Cristiano Ronaldo. Poi vedi il Real vero e cambi idea, il Chievo torna a essere il tuo Chievo: un’inesauribile banda di scassapalle, ma che comunque mi fa meno impressione di un tempo, e, a quanto pare, non fa alcuna impressione nemmeno al Napoli.
Ma andiamo per ordine. Ieri sugli spalti ho visto lo striscione #IoStoConSarri, ma diomio che soddisfazione, quello è il mio hashtag, lanciato dopo la prima partita disputata dal Napoli con Sarri allenatore. Grazie ragazzi, qualcuno di voi mi legge e, per fortuna, ne capisce di pallone.
Verona, il Bentegodi, i non luoghi
Sono sul treno e ho da poco passato Verona, che ho salutato agitando 3 dita. Ciao. Ora sono a Peschiera: c’è una nebbiolina che sale dal lago, una nebbiolina da lunedì, una nebbiolina vista Chievo. Non mi ricordo sotto quale articolo (comunque antecedente a Real Madrid – Napoli) qualcuno ha commentato chiedendomi cosa ne pensassi di De Laurentiis, ho risposto (in maniera convinta) che non ho tempo di occuparmi del presidente; se c’è una cosa di cui non mi voglio occupare sono le dichiarazioni del nostro comandante in capo, non faccio il giornalista, non ho obblighi di informazione, e quindi posso scrivere di quello che più mi interessa: ‘O pallone.
Sto leggendo un libro molto interessante: L’unico viaggio che ho fatto (minimum fax 2017), di Emmanuela Carbè, è un libro sui non luoghi – su Gardaland in particolare – sui segni che lascia su di noi il loro attraversamento, la loro trasformazione. Forse non ricorderemo tutti i quadri del Louvre, ma ricorderemo quel particolare autogrill (in uno splendido capitolo Carbè scrive di quello di Roncobilaccio – chi non lo ha amato scagli il primo Camogli). Il Bentegodi è un non luogo, diciamolo. Uno stadio dal nome strano, e ogni volta corriamo a digitare su google per ricordarci chi sia il signor Marcantonio Bentegodi (che fu un grande dirigente sportivo).
Uno stadio che mi ha dato sempre l’impressione di essere appartato, volutamente nascosto (anche se poi in realtà non è così), molto più del Penzo di Venezia, per capirci; nonostante il fatto che uno stadio costruito sull’acqua, come l’impianto di Sant’Elena, dovrebbe essere il non luogo per eccellenza, solo che tutta la città è costruita sull’acqua e quindi fine del non luogo.
Fenomenologia del tiro a giro
Da un non luogo si può provare a entrare e poi a sperare di uscire, con le mani in tasca e tre punti in più in classifica; che poi Carbè è di Verona, dovrò chiederle per chi tifa (ammesso che tifi per qualcuno). E comunque nel non luogo a un certo punto è partito il tiro a giro. Di tiro a giro in tiro in tiro a giro invecchiamo, i nostri capelli grigi diventano bianchi. Il nostro sorriso – quando la palla entra – si distende sopra le rughe, le allarga, mentre Insigne va a esultare.
L’unica partita in trasferta che ha visto mio padre in vita sua fu al Bentegodi. Ci sono foto di lui e di suoi tre amici, in gita per un Verona-Napoli, verso la fine degli anni settanta. Mi ricordo di quelle foto e mi ricordo che anche quella volta il Napoli vinse. Il Bentegodi, il nostro autogrill con una porta sola. Il Bentegodi è il gol numero 110 del capitano, decimo gol in campionato, dodicesimo in stagione: che annata pazzesca. I numeri ci parlano e ci dicono che pure le altre annate di Hamsik non sono state affatto male. Il Bentegodi è il nostro parco giochi, l’ennesimo. Siamo la giostra e il divertimento è assicurato.
Lo spettacolo, ovunque
Compriamo i biglietti per un sacco di motivi, ma uno solo è quello importante ed è quello a cui magari non pensiamo. Compriamo i biglietti per goderci lo spettacolo. In questo senso è stato spettacolo a Madrid e lo è stato a Verona. Nel primo è entrata anche una grande componente emotiva, vi è entrata la suggestione, l’attesa, col senno di poi pure eccessiva. Nel secondo è stato importante solo quello che si è svolto sul palcoscenico. Fidiamoci del palco, fidiamoci degli attori, scegliamo il posto migliore e poi lasciamo che accada. Piangiamo, ridiamo, applaudiamo e, se possibile, facciamolo alla fine.
Note a margine:
- Dice che mo’ dal barbiere alla domanda: “Come li faccio?” Tutti rispondono: “Con la linea alta”.
- Oggi Kurt Cobain avrebbe compiuto cinquant’anni e avrebbe tifato Napoli.
- Bentornato a Zeman, quando torna mi fa sempre piacere.
- Forza Genoa, coraggio.
- #IoStoConSarri anche durante il gioco del silenzio.