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È un Napoli di destra, Conte ha lavorato a una squadra ibrida e inintelligibile

Il 50% delle azioni costruite a destra. Il lavoro del tecnico per reagire alle avversità. Lukaku, ovvero un centravanti può essere importante anche senza segnare

È un Napoli di destra, Conte ha lavorato a una squadra ibrida e inintelligibile
Napoli's Belgian forward #11 Romelu Lukaku fights for the ball with Inter Milan's Italian defender #15 Francesco Acerbi during the Italian Serie A football match between Napoli and Inter Milan at the Diego Armando Maradona stadium in Naples on March 01, 2025. (Photo by CARLO HERMANN / AFP)

Reagire alle avversità

Napoli-Inter 1-1 è stata una partita dall’enorme significato. Tattico, agonistico, ma anche filosofico. Chi era allo stadio Maradona, infatti, ha assistito a una dimostrazione plastica di quanto possa essere complicato, per un allenatore professionista, gestire tutte le variabili, reagire alle avversità, risistemare la propria squadra dopo uno, due, tre imprevisti. In questo senso, Conte e Inzaghi hanno vissuto situazioni simili, solo diluite in modo diverso nel tempo: da gennaio a oggi, il tecnico del Napoli ha dovuto far fronte agli infortuni di quattro giocatori della catena di sinistra, più quello di Anguissa; Inzaghi, invece, è arrivato al Maradona senza Darmian, senza Carlos Augusto e senza Zalewski, tutti fermatisi negli ultimi giorni. È a partire da queste condizioni che Napoli e Inter hanno preparato la loro partita. Lo si è visto fin dalla scelta delle formazioni titolari e dai primi minuti di gioco.

Conte ha schierato Meret, Di Lorenzo, Rrahmani, Buongiorno, Politano, Gilmour, Lobotka, McTominay, Spinazzola, Lukaku e Raspadori. Ma soprattutto ha disposto il suo Napoli con un sistema mai così fluido e ibrido e inintelligibile: in fase di impostazione la difesa a tre diventava spessissimo a quattro (con scivolamento di Di Lorenzo e Spinazzola sugli esterni), nel frattempo Lobotka e Gilmour formavano il doble pivote. Più avanti, Politano, McTominay e Raspadori si muovevano dietro Lukaku, con il solo Politano in posizione sempre molto larga. In pratica, il modulo del Napoli in fase di costruzione oscillava tra il 4-2-3-1 e il 4-3-3, ma in entrambi i casi gli azzurri si disponevano in maniera asimmetrica.

Nei due screen in alto, si vede il sistema di costruzione del Napoli: quattro difensori e doble pivote composto da Lobotka e Gilmour. Nel frame al centro, si vede anche la posizione larghissima di Politano. Nel campetto sopra, invece, ci sono tutte le zone di campo in cui si è mosso Raspadori.

Cosa c’entra tutto questo con la gestione delle assenze di Olivera, Spinazzola, David Neres e Anguissa? Risposta semplice: Conte si è inventato questa disposizione fluida – e anche molto creativa – per sopperire a queste difficoltà. È stato il suo modo di reagire alle avversità. Nelle ultime settimane, lo dicono i risultati, il Napoli ha perso intensità e soprattutto qualità offensiva. Contro l’Inter ha ritrovato almeno la prima, anche grazie a un atteggiamento difensivo sempre aggressivo e ambizioso. Come quello che si è visto nel primo tempo di Como, solo che stavolta il Napoli è riuscito a reggere per più di un tempo di gioco. Anzi, come ha detto Simone Inzaghi la squadra di Conte è sembrata addirittura più fresca nel secondo tempo.

Dal punto di vista puramente tattico, come detto, il Napoli ha riproposto lo stesso approccio visto a Como. Nel senso che Conte ha creato una rete di marcature uomo su uomo abbastanza fisse, e non era importante che questa interpretazione portasse a un’asimmetria dello schieramento. L’obiettivo era quello di limitare o comunque sporcare la costruzione dell’Inter. Come? Portando Lukaku, Raspadori e Gilmour sui tre difensori, facendo alzare Di Lorenzo su Dimarco e Lobotka su Cahlanoglu, lasciando Spinazzola a guarda di Dumfries, sempre poco coinvolto nel gioco dal basso. Basta fare le sottrazioni per individuare il resto delle coppie: McTominay su Barella e i due centrali (Rrahmani e Buongiorno) ad alternarsi dietro Thuram e Lautaro.

In questi due frame, si vedono le marcature a uomo del Napoli. E si è trattato di marcature molto rigide: nell’immagine di sopra, infatti, Lukaku è fuori dall’inquadratura perché ha seguito Acerbi fino alla trequarti campo.

Le sicurezze e le insicurezze di Inzaghi

Il discorso fatto per il Napoli e per Conte è valido anche per l’Inter e per Inzaghi. Nel senso che il tecnico nerazzurro ha deciso di confermare la sua solita struttura, anzi ha addirittura preferito perdere qualcosa a livello di qualità – schierando Bisseck dal primo minuto – pur di avere in panchina un calciatore, Benjamin Pavard, adattabile sugli esterni. Laddove, cioè, la squadra nerazzurra era praticamente sguarnita: come detto, le assenze in contemporanea di Darmian, Carlos Augusto e Zalewski hanno determinato una situazione per cui gli unici quinti a disposizione di Inzaghi erano, per l’appunto, Dumfries e Dimarco.

Con le sue (consuete, ormai classiche) scalate in fase di costruzione, l’Inter ha inizialmente mandato a vuoto il pressing alto del Napoli. Senza però riuscire a mettere davvero in crisi il sistema difensivo di Conte. Non a caso, viene da dire, fino al gol di Dimarco il dato sul possesso palla era in parità assoluta (50%-50%). E l’unico tiro tentato era stato quello di Cahlanoglu, per altro respinto, al minuto 20′. Un attimo prima del vantaggio nerazzurro.

La punizione-capolavoro del terzino dell’Inter ha permesso a Inzaghi di gestire la gara in maniera diversa. Diciamo più conservativa. A quel punto il Napoli è stato costretto ad alzare l’intensità del suo gioco offensivo. Ed è andata anche bene alla squadra di Conte, capace di mettere insieme ben 8 tiri tentati dal minuto 25 fino all’intervallo. Un dato significativo, però, sta nel fatto che ben 7 di questi tiri sono stati respinti/intercettati da un difensore dell’Inter.

Anche un tiro respinto, però, può essere una grande occasione

All’inizio della ripresa, purtroppo per Inzaghi, Dimarco si è fermato. E così il tecnico nerazzurro ha dovuto letteralmente inventarsi un modo per sostituirlo. Come da copione, al suo posto è entrato Pavard. Ma tutte le scalate e tutti gli adattamenti successivi hanno costretto l’Inter a mettersi con  almeno un giocatore fuori ruolo. Il primo tentativo, infatti, è stato quello di passare al 4-4-2 con Bastoni e Mkhitaryan schierati sulla corsia di sinistra. Poi c’è stato il ritorno al 3-5-2/5-3-2, con lo spostamento di Dumfries a sinistra e con Pavard nel ruolo di quinto a destra.

Ecco, in questo punto esatto si sono manifestate le insicurezze/incertezze di Inzaghi. Che, a differenza di quanto successo a Conte, non ha avuto l’idea – ma va detto che non ha avuto neanche il tempo, visto che l’Inter gioca ogni tre giorni – di lavorare su un piano alternativo. E allora il tecnico nerazzurro ha cercato di snaturare il meno possibile la sua squadra. Di tenere accesi quei collegamenti che le permettono di essere solida dietro e pericolosa davanti. Al Maradona non è andata così. Lo dicono tutti gli indicatori statistici del secondo tempo. Iniziamo dai tiri totali: 12-0 in favore del Napoli. Poi i tiri in porta: 4-0 in favore del Napoli. Il possesso palla: 68% Napoli, 32% Inter. I passaggi intercettati: 0 Napoli, 4 Inter.

Insomma, si può dire: nella ripresa, Conte ha vinto il duello tattico. E alla fine ha anche rimesso in piedi il risultato. Perché, ripetiamo, ha avuto più tempo (e forse anche più inventiva) per gestire meglio gli inconvenienti, i problemi, i rompicapo tattici. E poi un aiuto decisivo è arrivato anche da alcuni suoi giocatori.

Romelu Lukaku (e gli altri)

Per Antonio Conte, quella contro l’Inter è stata «la miglior partita giocata da Lukaku da quando è a Napoli». In un’altra era calcistica sarebbe stato strano dire e anche solo pensare certe cose, visto che stiamo parlando di un centravanti che non ha fatto gol. Oggi, nell’era del calcio complesso e iper-tatticizzato, questa affermazione ha molto senso. Ed è vera, soprattutto. Lukaku, infatti, ha offerto una prestazione di grande generosità e intelligenza: i suoi 29 palloni giocati in tantissime zone del campo (la mappa la trovate sotto) hanno aiutato il Napoli a risalire dalla difesa, a muovere la palla anche su tracce verticali, a portare fuori i centrali dell’Inter. Per una squadra che ha un’evidente problema di stitichezza offensiva, dovuta alla mancanza di fantasia pura tra centrocampo e attacco, si tratta di un contributo fondamentale.

Tutti i palloni giocati da Lukaku

Anche Gilmour (la scelta a sorpresa di Conte) e Politano hanno giocato una buona partita. E persino Raspadori, per quanto sia stato più in ombra rispetto alle ultime partite (in questo senso la posizione più larga non ha aiutato), è stato al centro di alcune delle azioni più interessanti costruite dal Napoli. In verità, questo bisogna dirlo, tutta la squadra di Conte ha offerto una buona prova. A dirlo è un dato che finora abbiamo in qualche modo enunciato solo tra le righe, ma che adesso può e deve essere esposto in maniera chiara, inequivocabile: la punizione di Dimarco è stato l’unico tiro in porta concesso all’Inter in tutta la partita. Sì, avete letto bene: Meret non ha dovuto compiere neanche un intervento.

Certo, dall’altra parte del campo – in questo spazio sul Napolista lo abbiamo scritto più volte, sia in questa analisi che nelle scorse settimane – il Napoli fa fatica. Gli mancano qualità, varietà, imprevedibilità. L’assenza di un acceleratore di particelle come David Neres, da questo punto di vista, ha fatto danni significativi. A cui Conte ha provato a rimediare rimescolando le carte – con la fantasia, viene da dire. Anche contro l’Inter è andata così. Con le scelte fatte dal primo minuto, come abbiamo visto. E poi anche con i cambi fatti nella seconda parte della ripresa.

Okafor, Billing e il ritorno del 4-3-3

Okafor per Raspadori. Billing per Gilmour. È così che Conte ha dato nuovi impulsi al suo Napoli. È così che abbiamo assistito al ritorno della difesa a quattro pura, almeno in fase offensiva, ed è così che gli azzurri hanno dato la spallata decisiva a un’Inter ormai priva di energie. Dopo queste sostituzioni, il possesso palla della squadra di Conte si è impennato fino al 70%, ma soprattutto le azioni degli azzurri sono diventate (ancora) più insistite, più tambureggianti. Poi è arrivata anche l’ultima sferzata: il cambio Ngonge-Politano e quello ha portato il Napoli a schierarsi con un modulo ibrido tra 4-3-3 e 4-2-4, con Scott McTominay a fare da cuneo tra il centrocampo e la zona accanto a Lukaku.

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Una grande azione di Lobotka

Il gol di Billing, come vediamo sopra, nasce e viene costruito proprio come impongono i rudimenti del 4-3-3/4-2-3-1: l’imbucata di Lobotka verso McTominay e la sponda dello scozzese per l’uno-due aprono il corridoio nel mezzo spazio di centro-sinistra, l’inserimento (da mezzala pura) del centrocampista danese, alle spalle di Lukaku, non può essere seguito e assorbito da nessun difendente dell’Inter. Il resto lo fanno la qualità dello stesso Lobotka, lucidissimo e precisissimo nell’assist, e la freddezza di Billing. Che, dopo il buon esordio a Como, conferma di (poter) essere qualcosa di più che un semplice rincalzo.

Lo stesso discorso vale anche per Okafor. Che, attenzione, non ha fatto niente di indimenticabile (2 cross tentati e un dribbling riuscito in 20 minuti scarsi di gioco), ma almeno ha portato un po’ di freschezza sulla fascia sinistra. Laddove il Napoli ha praticamente rinunciato ad attaccare per tutta la partita: secondo le rilevazioni di Whoscored, la squadra di Conte ha costruito addirittura il 50% delle sue azioni sulla corsia destra.

Da questo punto di vista, per tornare giusto un attimo sul mercato di gennaio, c’è da dire che la sostituzione virtuale Okafor-Kvaratskhelia, con David Neres promosso a titolare fisso, avrebbe avuto anche un suo senso. Se non fosse che Neres nel frattempo si è infortunato, se non fosse che l’ex milanista aveva una condizione impresentabile fino a pochi giorni fa – detto brutalmente: non era in grado di giocare. Quando invece a Conte e al Napoli serviva un innesto in grado di andare subito in campo.

Conclusioni

Nel finale il Napoli ha addirittura sfiorato la vittoria, e forse l’avrebbe anche meritata. È questa la grande eredità/notizia che emerge dopo la partita contro l’Inter. Perché la squadra di Conte, come ha scritto giustamente Massimiliano Gallo nel suo commento postpartita, ha dimostrato di essere viva e vegeta. Gallo ne ha fatto una questione emotiva e fisica e psicologica, ma questa lettura è valida anche dal punto di vista tattico. Gli azzurri, infatti, hanno difeso benissimo e hanno attaccato in modo meccanico e ridondante, sì, ma con grande abnegazione. Fino a trovare il pareggio. Lo hanno fatto al netto di assenze pesanti come quelle di Anguissa e Neres, cambiando ripetutamente spaziature e quindi meccanismi di gioco. Lo hanno fatto contro l’Inter, in uno scontro diretto e con tutta la pressione che grava su una squadra reduce da una crisi di prestazioni e risultati.

Per dirla con frase fatta da termini semplici: il fatto che il Napoli sia ancora lì, e che con l’Inter abbia giocato come ha giocato, significa che potrebbe aver superato il suo momento più difficile. Certo, gli azzurri in questo momento potevano essere in fuga. Anzi: potevano essere lanciati verso lo scudetto. Ma un calo fisiologico, gli infortuni e le difficoltà vissute sul mercato – in quest’ordine – hanno determinato una condizione diversa.

Conte nel frattempo ci ha messo qualche pezza, non ha potuto fare miracoli ma ha tenuto la barra dritta. Anzi, ha continuato a lavorare in modo da permettere al Napoli di continuare a evolvere. Nonostante i problemi, nonostante tutto. Contro l’Inter, l’allenatore azzurro e i suoi giocatori hanno iniziato a raccogliere i frutti di questa semina, in attesa che ritornino anche gli altri infortunati. A quel punto, l’ha detto lo stesso Conte, dipenderà tutto dal Napoli. Anche lui sa che le premesse per ricominciare a correre ci sono, eccome se ci sono.

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