Alla Gazzetta racconta il suo cambiamento dalla musica al calcio: «Mi ha obbligato a usare il telefono. Per dieci anni avevo smesso di rispondere, usavo solo messaggi vocali»

La Gazzetta dello Sport intervista Francesco Facchinetti, figlio d’arte, passato dalla musica al calcio
Cosa la emoziona nel calcio al punto da farne un lavoro?
«Prima l’ho vissuto nella maniera più poetica: ho iniziato a vedere le partite a 9 anni con nonno e papà. Sono nato con la missione di essere interista: ho visto la grande Inter di Trapattoni, poi ho fatto 15 anni di curva. A un certo punto ho deciso di stare dietro le quinte, di non essere più sul palco ma di trovare qualcuno che potesse essere al centro di una storia dove partecipare da fratello maggiore. Ho investito 11 anni della mia vita dedicandomi agli altri. Ho deciso che la mia vita non fosse più Francescocentrica: ho iniziato nel mondo artistico facendo management, ho cambiato perché avevo capito che nel mondo dello spettacolo le cose che volevo fare non mi riuscivano più tanto bene. Il fallimento mi ha portato a un cambiamento».
Come mai passa dalla musica al calcio?
«Nel 2018 entro nel calcio: comincio lavorando sui diritti di immagine con Brozovic dell’Inter e Sergej Milinkovic Savic della Lazio. Si crea tra di noi una grande alchimia attraverso il dialogo che ci porta ad andare oltre il rapporto di lavoro e a divertirci: così facciamo esplodere Brozo, il Sergente, il Coccodrillo. E questa è la cosa che mi ha affascinato del calcio…».
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La sua filosofia
«Prima ogni agenzia aveva cento giocatori e tre procuratori, oggi si prova a capire come costruire un team intorno ai giocatori. La nostra fortuna come Epic è aver costruito sin dall’inizio una struttura così: la nostra filosofia è less is more (meno è meglio)».
Come fa il salto dall’immagine alle procure?
«Mi concentro sul rapporto col calciatore per essere differente e capisco che c’è uno spazio in cui posso inserirmi. Dal 2019 al 2023 passo 4 anni a costruirmi le cose che mi mancavano: studio per diventare procuratore e costruisco le connessioni. Una mia amica mi passa l’agenda con i numeri dei ds dalla Serie A alla D, giro tutta l’Italia: sono stati tutti molto gentili ad ascoltarmi, alle volte guardandomi un po’ così per capire cosa gli stessi dicendo. Faccio i primi passi muovendomi all’opposto rispetto agli altri»
Il calcio l’ha cambiata?
«Mi ha obbligato a usare il telefono. Per dieci anni avevo smesso di rispondere, usavo solo messaggi vocali. Ho dovuto cambiare anche lo stile: mi vestivo in tuta, sempre. Una voltami presento con una tuta blu da un presidente di Premier, lui mi guarda e mi dice: “Guarda, vestito così con me non parli. Vai a prendere un vestito e poi torni”».