Football Analytics: i dati sottolineano che il Napoli non avrebbe meritato di perdere. Una brutta serata che ha tanti “padri”, dal tecnico alla società.
La sconfitta
Al San Paolo l’Atalanta batte il Napoli 0-2 e il coacervo giornalistico campano scopre che gli azzurri hanno dei difetti. Sul Napolista abbiamo evidenziato più volte i limiti del Napoli, dentro e dietro le sconfitte. Ciò ci permette di affrontare una sconfitta in modo analitico senza stupore melodrammatico, consapevoli che passi falsi sono strutturali in questa stagione – Lazio, Sassuolo, Palermo avrebbero dovuto insegnare qualcosa – ma i difetti sono migliorabili nel breve medio termine. Un mese fa scrivemmo che il Napoli non fosse maturo per il primo posto: mentalità, mercato e campo non si improvvisano.
Parlammo dei punti persi tra deficit difensivi e il paradosso del centravanti. Scrivemmo che il Napoli di Sarri ha un’organizzazione talmente profonda che la prima punta fa parte a pienissimo titolo del dispositivo difensivo. Influenza i movimenti e il dispendio di energie di chi gli gira intorno. Dagli esterni in giù tutti i calciatori di movimento del Napoli sono coinvolti nella fase di recupero del pallone. All’aumentare del dispendio fisico per attaccare diminuiscono energia e lucidità per la fase difensiva.
Centravanti e adattamento
Aggiungemmo che il processo di ottimizzazione del centravanti è stato la grande sfida di questa stagione. La squadra ha dovuto conformare i propri movimenti offensivi alle caratteristiche delle differenti prime punte utilizzate: prima Milik, poi Mertens, ancora Gabbiadini dunque Pavoletti. L’infortunio di Milik ha vanificato parte del lavoro tattico di Sarri, ma gradualmente è stato reso efficace anche il falso nueve Mertens (che però soffre contro difese chiuse). Concludemmo dicendo che conformarsi ad un centravanti più classico come Pavoletti – dopo due anni che si gioca con palle basse e veloci in area di rigore – sarebbe stata un’ulteriore sfida nella sfida, ove il graduale adattamento avrebbe potuto portare ad altri punti persi.
Ogni punto è importante se vuoi farne più di tutti. Se mancano, ci tocca analizzare il perché dentro e fuori.
Dentro la sconfitta
In chiave statistica, le due squadre producono lo stesso numero di expected goals, distribuiti su una quantità diversa di tentativi. Il risultato xg è di 1,4 a 1,4 con 20 tiri azzurri (8 nello specchio) e 8 nerazzurri (5 verso la porta). Il rapporto tra xg e tiri, metrica nota come shot quality, favorisce l’Atalanta con 0,18 (0,28 nello specchio) rispetto al Napoli con 0,07 (0,18 verso la porta).
Gli ospiti ottimizzano i propri tentativi, tramutando un pareggio in vittoria, come all’andata. Il risultato più giusto, in ambo gli incontri, sarebbe stato 1-1; i bergamaschi, invece, vincono prima 1-0 poi 0-2. L’underperformance napoletana è evidente.
Eppure, il Napoli crea occasioni, ma manca la rete. Non è un’osservazione banale, perché nel girone di ritorno la squadra ha mostrato una crescente capacità di ottimizzare gli attacchi. E’ avvenuto contro Bologna e Chievo, con rispettivamente +5 e +3 gol (tra fatti e subiti).
I dettagli
Nel dettaglio sono di Mertens al 38’, Callejon al 75’ e Pavoletti all’83’ le big chance dei padroni di casa con dei valori xg tra 0,3 e 0,4. Ricordiamo che gli expected goals sono una misura che abbina ad ogni conclusione un valore tra 0 e 1, rispettivamente no gol e gol, illustrando quanto siano vicine ad uno dei due estremi: l’insuccesso e il successo. I calcoli si fondano su dati storici delle tipologie di tiro. Allora, quando al 5’ minuto Insigne calcia, annotiamo distanza, angolo, tabellino, azione, numero di difendenti, posizione del portiere, confrontiamo con i valori storici del campionato e deduciamo che il suo xg è prossimo allo 0,1. Lorenzo però coglie la traversa, perché balisticamente superiore, come dimostrato a Bologna, Milano o Madrid. Stavolta però non basta e Berisha si salva.
Dall’altra lato, al 45’ il fashionista Petagna sciupa l’occasione più importante della gara (0,5 xg). Reina ringrazia ed evidenzia quanto l’attaccante triestino, con i suoi 5 gol su 34 tiri in 70 attacchi, sia statisticamente scarso sotto porta (poi ha altre qualità).
Mappa dei tiri di Napoli-Atalanta
Arriviamo ai confronti tra attesa e realtà. In totale, gli expected gol passivi arrivano a 19,75, rispetto 27 reti reali, per uno scarto di performance difensiva di -7. Gli expected gol attivi sono 45,65 rispetto i 58 realizzati; la performance offensiva va a +12. Dai calcoli sono esclusi i calci di rigore (2 a favore e 3 contro), che hanno una conversione media di circa 80%. La differenza nei punti fatti torna a -10 nella nostra classifica di merito.
Dietro la sconfitta
Il Napoli perde e non ci dicono perché. Seppur non buchi lo schermo, Sarri è un allenatore che in conferenza intrattiene critici e appassionati di pallone, perché parla di pallone. Quando altri, tra suoi colleghi e la controparte media si incentrano su arbitri ed episodi, Sarri riporta la discussione sul campo di gioco. Chi avrebbe potuto spiegarci meglio di tutti le ragioni della sconfitta con l’Atalanta è proprio Sarri. Lo ha fatto a Madrid – «Abbiamo sempre perso palla al secondo passaggio dell’azione» – mentre gli altri parlavano solo di tremolio di gambe.
Argomenta sempre su difesa, centrocampo, attacco, singoli e movimenti. Ci ha detto ad esempio perché gioca Jorginho e perché Diawara (questioni di compattezza e ampiezze di gioco) e potremmo andare avanti. Eppure sembra che a pochi interessi. Ai microfoni gli si chiede soprattutto perché porti la tuta, cosa provi a giocare a certi livelli dopo tanta gavetta (leggasi folklore vario) e cosa pensi di questo e quel fallo. Come se Sarri fosse stato catapultato sulla panchina dal nulla e non proprio per le sue conoscenze di pallone sopra la media.
Ai media però non interessa perché gli episodi e le polemiche fanno intrattenimento, con buona pace di critici e appassionati di pallone. Avremmo voluto sentire da lui le ragioni della sconfitta, giustificazioni, analisi e ammissioni, non da quei media che di pallone ci hanno detto sempre poco niente. Ma la società ha annunciato il silenzio stampa e dobbiamo farcene una ragione.
Numeri e tattica
Al Napolista abbiamo comunque argomentato di tattica, (qui l’approfondimento su Napoli-Atalanta), arrivando alla conclusione che il Napoli ha un impianto funzionante, tendente al sovraccarico. «Qui arrivano i black out e la manutenzione ha dei costi. Ci si spegne in troppi momenti decisivi – scrive Alfonso Fasano -, può esserci la partita in cui non riesci a far gol, per bravura e meriti degli avversari e lune storte dei tuoi calciatori. In quelle serate, non devi subire gol. Devi limitare al minimo gli errori. Il lavoro di upgrade di questo Napoli passa necessariamente da qui«.
I numeri avvallano questa teoria perché anche attaccanti capaci come quelli partenopei possono trovare sorte avversa nelle loro conclusioni in una gara su 10. Ma quando subisci di media 1 gol a partita in più del dovuto allora quella gara la perdi. Sarri ha di certo le sue colpe, perché il suo calcio appare idealista, volto creare attacchi e circolazione più che il risultato, secondo un mantra zemaniano. Si pecca di quella concretezza che ha permesso alla Roma di essere avanti.
Non solo Sarri
Ad ogni modo è errato dare le colpe al solo Sarri, che sarà pure integralista, fanatico, utopista o comunista del pallone, ma sa il fatto suo a differenza di altri in società. Con questo vogliamo dire che le colpe della sconfitta di Bergamo, che è nient’altro che un esempio dei limiti del Napoli 2016/2017, vanno suddivise tra lui, calciatori e società.
Sul Napolista abbiamo scritto – semplificando – che per vincere lo scudetto vanno aggiustati di poco difesa e prima punta e aggiunto un pizzico di mentalità, perché ci piace parlare di pallone. In realtà, per vincere si necessita di una dirigenza all’altezza, capace di permette a tecnico e squadra di superare i citati difetti di campo. Invece, la società continua a sorprendere in negativo (vedasi silenzio stampa), fomentando la corrente papponista.
Nei rapporti tra le parti traspare un perenne stato di improvvisazione e sbalzi di umore tra periodi di campionato e di calciomercato (che sembra condotto da un giocatore di Football Manager ubriaco, che vuole Klassen poi Herrera, poi Zielinski, quindi Witsel, anzi Candreva, infine ancora Zielinski, insieme ad Icardi ma meglio Pavoletti).
Le colpe di tutti
Non c’è unità di intenti e ha poco senso lamentarsi se Grassi e Rog, bravi ma impreparati alle idee e agli obiettivi dell’allenatore, non giochino. Ancor più anacronistico è affermare di puntare allo scudetto ma che poi “non importa perdere punti in campionato” pur di valorizzare i calciatori. Se il Napoli perde, non valorizzi comunque.
In sintesi, l’ultimo stop al San Paolo non si può attribuire ad un semplice sbaglio dell’allenatore nello schierare l’uno o l’altro, ma – per dirla in modo sarriano – ad un più articolato ragionamento su struttura e sovrastruttura che caratterizzano la Società Sportiva Calcio Napoli.