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Il Napoli ha cercato troppo tardi di cambiare copione. La pausa arriva nel momento giusto

A Venezia Conte ha insistito 77 minuti con lo stesso spartito. Non a caso il pallone a Simeone lo ha servito Okafor. Va recuperato Neres

Il Napoli ha cercato troppo tardi di cambiare copione. La pausa arriva nel momento giusto
Db Venezia 16/03/2025 - campionato di calcio serie A / Venezia-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Matteo Politano

Il Napoli, adesso, è questo

Il Napoli di Conte torna da Venezia con la sensazione di aver sprecato un’occasione importante. A livello di classifica, primariamente, ma anche dal punto di vista emotivo e dell’autostima. Il pareggio maturato allo stadio Penzo, infatti, ha rimesso indietro gli orologi di qualche settimana: è come se la squadra azzurra fosse tornata dentro la crisi di risultati e di prestazioni accusata tra febbraio e inizio marzo. I problemi manifestati a Venezia, infatti, sono gli stessi che hanno portato il Napoli a vincere solo una delle ultime sette partite di campionato: prevedibilità tattica e quindi offensiva, incapacità di strappare e stappare la partita attraverso la prestanza fisica, impatto poco consistente dei giocatori subentrati dalla panchina.

È chiaro, l’assenza di David Neres e lo scarso minutaggio che Conte riserva a Okafor sono elementi significativi. Nel senso: per questioni di opportunità e di scelte, il Napoli per adesso è questo. Conte ha lavorato in modo da ovviare all’emergenza-infortuni e ha progettato/inventato un nuovo assetto, l’ha perfezionato fino a ottenere le buonissime prestazioni offerte contro Inter e Fiorentina, l’ha riproposto anche a Venezia. Ma quello stesso assetto, a Venezia, non ha funzionato. Perché sono cambiati gli avversari, perché è cambiato il contesto, e allora la squadra azzurra non è riuscita ad andare oltre ciò che è diventata. E questa realtà dei fatti, naturalmente, è frutto dei meriti del Venezia ma anche dei demeriti di Conte. Al netto delle oggettive difficoltà – ne parleremo – cui il tecnico del Napoli deve far fronte quando vuol far cambiare volto e/o marcia alla sua squadra.

L’inizio giusto e poi le prime avvisaglie

A Venezia, il Napoli ha iniziato la partita nel modo giusto: Conte ha confermato il 4-2-3-1 spurio e asimmetrico con cui ha affrontato Inter e Fiorentina, ma soprattutto ha confermato tutti i giocatori scesi in campo contro Inter e Fiorentina. E quindi difesa con Di Lorenzo-Rrahmani-Buongiorno-Spinazzola, doble pivote con Lobotka e Gilmour, Politano largo a destra, McTominay e Raspadori a muoversi sul lato sinistro del fronte offensivo, ma anche dietro e accanto a Lukaku. Di Francesco ha risposto schierando il suo Venezia son un 3-5-2/5-3-2 apparentemente lineare, viene da dire scolastico, ma in realtà molto ambizioso.

E non solo perché i due quinti di centrocampo, Zerbin ed Ellertson, sono due giocatori piuttosto offensivi: fin dai primissimi minuti, infatti, la squadra arancioneroverde è venuta ad aggredire altissima il Napoli, ha cercato di sporcare ogni possesso basso, ogni uscita dalla difesa, ogni tentativo di verticalizzazione. A costo di ritrovarsi a difendere in parità numerica nella propria metà campo.

Il Napoli prova a impostare dal basso, ma il Venezia porta addirittura sei uomini nella trequarti difensiva della squadra di Conte

Il Napoli ha reagito abbastanza bene a questa situazione tattica: la buona forma di Raspadori e Lukaku e la loro buona intesa hanno portato gli azzurri ad aggredire nel modo giusto gli spazi lasciati dal Venezia, ed è esattamente in questo modo che si è determinata l’occasione che ha portato al palo colpito da Raspadori. La squadra di Conte è stata efficace anche in fase di pressione alta, quindi è come se avesse risposto ad aggressività con aggressività. Il punto, però, è che questa scelta ha fatto sì che anche gli azzurri concedessero degli spazi invitanti ai loro avversari. E infatti, non a caso viene da dire, il primo tempo si è concluso in sostanziale parità per numero di tiri tentati: 8 per il Napoli, 7 per il Venezia.

Un altro aspetto da sottolineare riguarda la difficoltà del Napoli nel procurarsi chance su azioni manovrate: in tutto il primo tempo, il già citato tiro di Raspadori (finito sul palo) e il colpo di testa di Lukaku intercettato e poi bloccato sulla linea da Radu sono state le uniche due conclusioni pericolose nate da palla in gioco. E sono arrivate al minuto 4 e al minuto 44, rispettivamente. In realtà c’è stata un’altra conclusione di Raspadori su tocco in profondità di Di Lorenzo, ma si è trattato di un tentativo da posizione molto defilata, quindi molto difficile da concretizzare.

Insomma, come dire: subito dopo lo sprint iniziale, sono arrivate le prime avvisaglie per cui il Napoli avrebbe vissuto una partita difficile. Lo dimostra il fatto che, come detto, la squadra di Conte sia riuscita a costruire pochissime occasioni in maniera pulita. Ecco un (altro) numero molto significativo: la squadra azzurra non ha tentato nessuna conclusione al termine di un’azione manovrata per tutta la parte centrale del primo tempo (dal minuto 20 al minuto 40). Sì, avete letto bene: zero spaccato.

La mappa di calore della partita del Napoli: è evidente come la squadra di Conte giochi soprattutto da una parte

Come di vede piuttosto chiaramente da questa immagine, il problema del Napoli va ricercato nell’eccessivo ricorso ai giocatori di fascia destra. È soprattutto – per non dire solo – lì che nasce il gioco degli azzurri, e infatti secondo i dati di WhoScored addirittura il 50% delle azioni della squadra di Conte nascono proprio da quella parte. Una volta chiusa e quindi disinnescata quella zona di campo, almeno in questo momento, al Napoli mancano alternative reali.

O meglio: Spinazzola è un fattore, lo è stato anche a Venezia – 2 passaggi chiave, 6 cross tentati, 3 dribbling riusciti. Non a caso, viene da dire, il colpo di testa di Lukaku parato da Radu sulla linea di porta nasce proprio da un traversone dell’ex esterno di Roma e Juventus. Ma lo stesso Spinazzola, in questo contesto tattico, è praticamente solo: non ha supporto, non ha un giocatore offensivo con cui scambiare il pallone, o comunque non ce l’ha in ampiezza.

Il contesto

E allora, viene da chiedersi: perché questi problemi non sono stati così impattanti contro Inter e Fiorentina? Risposta semplice: il Venezia ha imposto un contesto tattico diverso. Con l’aggressività di cui abbiamo detto, ma anche con un atteggiamento inevitabilmente diverso in fase di possesso palla: la squadra di Di Francesco, differentemente da Inter e Fiorentina, non ha stuzzicato la contro-aggressività del Napoli con il palleggio, con la costruzione dal basso. I dati, in questo senso, sono eloquenti: gli arancioneroverdi hanno effettuato un lancio lungo ogni 4,7 passaggi. Il Napoli, invece, ha una quota esattamente doppia: un lancio lungo ogni 9,5 passaggi.

Di conseguenza, come mostrano anche i dati sul possesso grezzo (57%-43% in favore degli azzurri, sia all’intervallo che a fine partita), il Napoli si è ritrovato ad affrontare un’altra partita rispetto alle precedenti. E quindi la squadra di Conte avrebbe dovuto giocarla in maniera diversa rispetto alle precedenti. Non l’ha fatto, non è riuscita a farlo. È chiaro, il palo di Raspadori e le parate di Radu fanno sì che si possa parlare anche di sfortuna. Di imprecisione sotto porta. A pensarci bene, però, anche il Venezia ha avuto le sue occasioni. Fino ad arrivare al clamoroso salvataggio sulla linea di Rrahmani dopo una grande parata di Meret. E allora si può dire: anche il Napoli ha dovuto/potuto contare sul suo portiere. E su un pizzico di sorte a favore.

Il secondo tempo

Dopo l’intervallo, la squadra di Conte è rientrata in campo ed era ancora ferma a quanto fatto nel primo tempo. A livello di impostazione tattica, ma anche – e soprattutto – a livello di intensità fisica e tecnica. Anzi, a livello di intensità la situazione è addirittura peggiorata. Di conseguenza, il Venezia ha avuto vita facile nel limitare quasi completamente i suoi avversari. Alla squadra di Di Francesco, di fatto, è bastato restare compatta per concedere poco o quasi niente. Le statistiche lo confermano in modo eloquente: in 45 minuti più 6 di recupero, la squadra di Conte ha messo insieme un solo tiro in porta. Per la precisione, quello (vellitario) tentato da Politano al minuto 66′. Per il resto, l’unica conclusione fuori dallo specchio che si può considerare pericolosa è stata quella di Simeone al minuto 92′ – ne parleremo più avanti.

Il Napoli ha continuato a martellare – non nel senso letterale, naturalmente – soprattutto a destra, e infatti se guardiamo alla ripresa Di Lorenzo è stato  il giocatore che ha giocato più palloni in assoluto (33). Una sostanziale novità è stato il supporto offerto proprio in quella zona da Gilmour, che ha interpretato il ruolo di centrocampista centrale in modo molto propositivo, manifestando una certa tendenza ad allargarsi. Ma questa è stata l’unica variabile attuata da Conte fino al momento dei cambi. E non è bastata.

Tutti i palloni giocati da Billy Gilmour nel secondo tempo di Venezia-Napoli

I cambi, appunto: quando ha capito che il Napoli sceso in campo nel secondo tempo non sarebbe mai riuscito a cambiare l’inerzia della partita, figuriamoci a sbloccarla, Conte ha deciso di fare una vera e propria rivoluzione. Quattro sostituzioni in un solo slot: Olivera per Spinazzola, Okafor per Raspadori, Anguissa per Gilmour e Juan Jesus per Rrahmani. Dopo questi avvicendamenti, il Napoli è passato al 4-3-3 puro, con Anguissa e McTominay mezzali e con Politano e Okafor ai lati di Lukaku.

L’idea di Conte, ragionandoci su a freddo, era abbastanza facile da intuire: il ritorno al 4-3-3, soprattutto grazie ad Anguissa, avrebbe dovuto aumentare presenza e fisicità nell’area di rigore del Venezia. E invece, nonostante i cambi, il Napoli è sembrato ancora più stanco, ancora più fermo. Proprio Anguissa ha dato l’impressione di essere ingolfato, di non avere lo smalto e l’esplosività necessari per avere impattare davvero sulla partita. Non era difficile immaginare che potesse andare così, dopo un mese di stop. Ma Conte ci ha provato lo stesso, preferendo il camerunese a Billing.

Okafor e il rimpianto

Diverso è il discorso su Okafor: l’attaccante svizzero, esattamente come avvenuto contro l’Inter, è entrato in campo con la testa e lo spirito che servivano. Anche a Venezia non ha fatto niente di memorabile, intendiamoci, ma è riuscito comunque a servire 2 passaggi chiave. E, soprattutto, ha pennellato il cross – col sinistro, il suo piede teoricamente debole – che ha messo Simeone e il pallone davanti alla porta di Radu: un cross non banale, tagliato benissimo, veloce, su cui l’attaccante argentino è arrivato in modo leggermente scoordinato.

Il miglior cross della partita del Napoli

Ecco, il Napoli avrebbe dovuto cercare di fare (anche) questo nel corso dell’intera partita. Magari Conte avrebbe potuto provarci anticipando il cambio modulo, oppure inserendo Okafor – che, insieme al fumoso Ngonge, al momento resta l’unico uomo offensivo in panchina – venti o quindici minuti prima. Il punto è che il tecnico azzurro ha deciso di puntare tutto sulla squadra che abbiamo visto a inizio partita, su quel sistema di gioco, su quei calciatori. In parte non ha potuto, ci siamo, ma non ha neanche voluto cercare una strada alternativa prima del minuto 77. Prima dei quattro cambi che hanno riportato il Napoli al 4-3-3 puro.

Solo che neanche questa scelta ha funzionato: al netto della grande occasione di Simeone, infatti, il Venezia sembrava avere addirittura più energie, più fame. Non a caso, viene da dire, Conte si è detto molto arrabbiato per il contropiede concesso durante i minuti di recupero.

Conclusioni

La sosta viene nel momento giusto: Conte potrà provare a recuperare/mettere insieme le ultime energie. E a dare nuovi impulsi al suo Napoli, magari passando dal rientro di David Neres e/o da uno sfruttamento maggiore i Okafor – giocatori fondamentali nell’economia di una squadra che a volte risulta davvero troppo prevedibile, in fase offensiva. Soprattutto contro avversari contro cui è difficile essere aggressivi, contro cui bisogna muovere la palla con velocità e intensità. Certo, vincendo in maniera autoritaria a Bergamo l’Inter ha dimostrato di meritare il primo posto e i tre punti di vantaggio sugli azzurri. Ma c’è ancora tutto il tempo per recuperare, soprattutto se consideriamo che Inzaghi e i suoi giocatori, dopo la pausa, saranno attesi da un vero e proprio tour de force (otto gare in quattro settimane).

Il Napoli, però, dovrà ripartire con uno sprint diverso. Anche perché, tra quindici e ventuno giorni, le avversarie da affrontare saranno Milan e Bologna: due squadre che probabilmente si incastrano meglio con il sistema e con l’approccio di Conte, ma che hanno qualità e sono pienamente in corsa per i loro obiettivi. Insomma, servirà un Napoli solido ma anche creativo, efficace ma soprattutto imprevedibile. Magari i rientri degli ultimi infortunati – anche quello del vero Anguissa sarà fondamentale – daranno a Conte l’ispirazione per l’ultimo segmento di stagione, per un’ultima sferzata tattica. Questo Napoli ne ha bisogno sempre, ma ne ha bisogno soprattutto ora, se vuole continuare a lottare per lo scudetto.

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