A Repubblica: «Nella vita magari cambi partner, ma la squadra resta la stessa. Io invece sono stato infedele non solo con le donne, ma anche con le squadre di calcio».

Repubblica intervista Rocco Papaleo, nelle sale dal 20 marzo con il nuovo film dei Manetti Bros, U.S. Palmese, in cui è un pensionato che convince il suo paese, Palmi, a ingaggiare nella squadra locale un turbolento campione francese appena squalificato
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Il suo rapporto con il calcio?
«Di gran trasporto, purtroppo. Tifo per la Roma, il che significa soffrire un po’ di più, vinciamo poco. Fino a diciott’anni è stata la grande passione, giocavo a livello agonistico. Tra i ricordi migliori il debutto nella prima squadra: una domenica, ho segnato due gol nei primi venti minuti».
In che ruolo?
«Quello che oggi viene chiamato falso nueve, una volta era “punta di manovra”. Non ero fermo in avanti ad aspettare la palla, andavo incontro al gioco. Con il calcio ho imparato l’idea della squadra e lo spogliatoio, le docce, dove ci si mostrava nudi senza problemi, mi hanno tolto il pudore».
Perché tifa per la Roma?
«Sono un tifoso atipico, sono diventato romanista per cattive compagnie, Valerio Mastandrea, mi ha irretito. In Basilicata nessuna squadra ha mai giocato in Serie A. Da ragazzo ero tifoso dell’Inter. Poi, iniziando a recitare, mi sono disinteressato al calcio ed è come se fossi tornato vergine. In questi 50 anni a Roma gli amici mi hanno contagiato. È strano che uno cambi squadra, no? Nella vita magari cambi partner … ma la squadra resta la stessa. Io invece sono stato infedele non solo con le donne, ma anche con le squadre di calcio».
Infedele per vocazione?
«Sì. Ho sessantasei anni e sono solo, in questo momento della vita, proprio perché le mie storie sono sempre state un po’ a orologeria. La più lunga è durata tre anni. Non proprio una banderuola ma…».
Che succede?
«L’abitudinarietà, la convivenza. Sono double face: fuori casa do la sensazione di essere piacevole, simpatico, dentro casa sono uno che nelle relazioni si annoia un po’. Poco propositivo e molto pigro».
“U.S. Palmese” parla anche del sistema calcio, eccessi, soldi…
«È ovvio che il business abbia deturpato il calcio, vale anche per il cinema. Il denaro distorce. Ma resta sempre una poesia, sopra o sotto. E ci sono giornalisti che riescono a raccontare quell’anima del calcio. Al di là della frenesia, dei miliardi, della polemica».
Il campione?
«Ne ho avuti tanti, nei vari periodi storici. Da ragazzo, pur tifando l’Inter, avevo un’ammirazione strana per Rivera, che era del Milan. Attratto dal tradimento, anche qui. Poi Paolo Rossi, eroe dei Mondiali ’82. Da romanista ovviamente Totti. Ma preferisco De Rossi, anche come persona. Lo conosco, quando è stato esonerato dalla Roma, per me è stata una tragedia».