“E’ un tennis brutale, e terribilmente onesto. Non mi sono mai sentito così connesso al gioco come quando ci finii dentro”

Ad Andre Agassi piacciono un sacco i Challenger, il circuito del tennis minore. Un limbo “onesto”, dice lui che pure ad un certo punto della carriera ha sfiorato per ritrovarsi. Ne ha parlato con i giornalisti in occasione del Challenger 175 di Phoenix. Chi ha letto Open, sa di cosa parla. Alcune dichiarazioni le riporta Ubitennis.
“Sono arrivato al numero uno al mondo e la gente deve aver pensato che stessi vivendo un sogno, ma probabilmente ero la persona più disconnessa e infelice sotto molti aspetti. Ho trascorso due anni scendendo attorno alla 140esima posizione in classifica. Tutti nel mondo sono rimasti sorpresi, tranne me”.
Agassi: «lottano per pagare le bollette»
Dopo la medaglia d’oro olimpica del 1996 ha poi ricominciato a scalare la classifica, ripartendo proprio dai Challenger. “Quando ho trovato la mia ragione per giocare, ho dovuto ripartire da capo. Era troppo importante per me e la gente pensava che fossi Bruce Springsteen che suonava al bar locale o qualcosa del genere. Ma per me è stata la volta in cui mi sono sentito più connesso al tennis, perché finalmente avevo la mia ragione per tornare là fuori, mentre giocavo con ragazzi che probabilmente non avrebbero mai sognato di incontrarmi, figuriamoci di battermi. Alla fine, ero dove dovevo essere. È stato così bello”.
“Ciò che è tipicamente difficile del livello Challenger è che questi ragazzi stanno lottando per arrivare a un posto in cui possono contare sulla loro vita, contare sul loro programma, contare sulla partecipazione ai tornei, contare sul pagamento delle bollette, contare sul cambio della prenotazione del loro aereo perché gli costerà caro se non lo fanno. Sono là fuori a lottare per il sostentamento reciproco. È davvero brutale e davvero onesto”.