A Repubblica: «in porta i grandi mi facevano buttare sempre anche se avevo i calzoni nuovi. Dopo le critiche nel 78 non parlai più con i giornalisti»

Zoff: «Da piccolo ero lo scemo del villaggio. Troppo vittimismo nel calcio di oggi, ti tocco e vai a terra».
Repubblica intervista Dino Zoff che sta lavorando a un docufilm sulla sua vita.
Lei disse a Totti: “Chieda a Gigi Riva cos’è davvero il calcio violento”: era veramente cosìpericoloso giocare ai vostri tempi?
Zoff: «È un calcio vero anche adesso, il problema è che prevale il vittimismo. Ti tocco e vai per terra. Credo che sia necessario essere atleti, non si può rotolare per terra così facilmente. Il vittimismo arriva anche nelle scuole, oggi se un bambino prende 5 è colpa del maestro. Prima non c’erano tante scuse».
Cosa ricorda di quando era lei il bambino?
«Ero un po’ lo scemo del villaggio, in porta i grandi mi facevano buttare sempre anche se avevo i calzoni nuovi, poi hanno cominciato a considerarmi bravino. La mia generazione non poteva pensare di fare nella vita il portiere, chi arrivava alla serie C era un eroe: ci si divertiva, si faceva Tarzan sugli alberi, e si giocava a pallone anche cinque ore al pomeriggio».
I tiri da lontano le costarono critiche feroci al Mondiale 1978.
Zoff: «Mi dicevano che ero vecchio, decisi di non parlare più con i giornalisti. Se cominci a difenderti con le parole ti sembra di essere finito in tribunale. Io avrei potuto anche pretendere dei risarcimenti per quello che avevo subito, ma ho preferito pensare a lavorare. Se avessi fatto la guerra magari non sarei arrivato al Mondiale dell’82».
Anche Donnarumma vive fasi alterne, tra grandezza e critiche.
«Ricordiamo sempre chi è Donnarumma: è lui ad aver vinto gli Europei. Se arrivi due volte ai rigori e il portiere li para, il merito è suo».
È malinconico anche il ricordo dell’addio al calcio?
«È stato la chiusura di una parentesi stupenda, quindi è triste. Ma ricordo bene che tra i tanti che sono venuti a salutarmi c’era anche Lev Jascin, leggendario portiere sovietico: dalla Russia mi portò un samovar gigante».