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Il Chelsea di Mourinho: «Arrivai a Stamford Bridge e mi dissero: “qui non ti vogliamo, adoriamo Ranieri”»

Al Telegraph vent’anni dopo quella squadra raccontata da José, Lampard e Terry: «Il primo giorno ci disse che avremmo vinto. Il mister ci faceva portare i bambini»

Il Chelsea di Mourinho: «Arrivai a Stamford Bridge e mi dissero: “qui non ti vogliamo, adoriamo Ranieri”»
Chelsea's Manager Jose Mourinho (C) holds aloft the Barclays Premiership trophy beside Frank Lampard (L) and John Terry (R) during the celebrations after the game against Charlton at Stamford Bridge in London 07 May 2005. AFP PHOTO Adrian DENNIS No telcos, website uses subject to subscription of a license with FAPL on www.faplweb.com (Photo by ADRIAN DENNIS / AFP)

A 20 anni dal Chelsea delle meraviglie, il Telegraph ha intervistato insieme Mourinho, John Terry e Frank Lampard. Mourinho allora, scrive il Telegraph, aveva “costruito una delle migliori squadre vincitrici della Premier League della storia stabilendo record che potrebbero non essere mai battuti“. Il Chelsea del 2004-05 vinse il titolo con 95 punti e subì solo 15 gol. Tutti e tre sono convinti che la loro squadra fosse ineguagliabile.

Il Chelsea di Mourinho meglio dell’Arsenal degli Invincibili

Quel Chelsea meglio dell’Arsenal degli Invincibili?
Terry ha risposto: «Non credo ci sia paragone tra il Chelsea 2004-2005 e gli Invincibili. Penso che noi fossimo molto più forti. Abbiamo perso una partita, che non avremmo mai dovuto perdere contro il Manchester City. L’Arsenal ha pareggiato 12 partite».

Mourinho: «Alla gente dell’Arsenal, al Manchester United, al Manchester City, non gliene frega un cazzo del Chelsea 2004-05. Proprio come a noi del Chelsea, non ci frega un cazzo degli Invincibili o di quello che hanno fatto. Ciò che conta è quello che sappiamo. Quello che sappiamo, quello che abbiamo fatto e quello che condividiamo».

Mourinho arrivò dopo il secondo posto di Ranieri, il primo allenatore dell’era Abramovich, dietro all’Arsenal degli Invincibili. Voleva vincere il primo anno, subito.

«Ricordo che la prima volta che andai a Stamford Bridge fu prima della finale di Champions League con il Porto. Il primo tizio che venne da me mi disse: ‘Non ti vogliamo qui, adoriamo Ranieri’. Quella fu la mia prima esperienza a Stamford Bridge», racconta lo Special One.

Anche Lampard ricorda la sicurezza con cui si presentò José: «Ricordo la sua sicurezza, fin dal primo giorno di precampionato. Lui arrivò e ci spiegò che saremmo diventati campioni. Il primo giorno di precampionato, fu un’esperienza illuminante per tutti noi. Poi teneva riunioni, parlava di blocchi di partite e prevedeva i risultati nei minimi dettagli, e in genere noi mantenevamo fede a quello che diceva. Non avevo mai visto un allenatore arrivare con la sicurezza di poter spingerci solo perché lo diceva lui. Ci dava la responsabilità di essere all’altezza delle sue aspettative».

Fin dal tour pre-stagionale in America la sensazione era quella di poter diventare subito campioni. La squadra fu rinnovata con l’acquisto di Didier Drogba, Arjen Robben, Petr Cech, Paulo Ferreira, Mateja Kezman e Tiago per un totale di 70 milioni di sterline. «Il Chelsea aveva dei buoni giocatori che non volevo tenere. Jimmy Floyd Hasselbaink era un buon giocatore. Ma non era Didier. E entrando nel dettaglio, vorrei sapere quanti calci d’angolo difensivi Didier ha spazzato via nello spazio sul primo palo. Io volevo giocatori diversi, con un profilo diverso, che potessero completare il puzzle in modo eccellente. Come avrebbe potuto John [Terry] emergere come capitano? Come avrebbe potuto Lampard emergere come maestro a centrocampo? Dovevo sostituire alcuni giocatori con altri. Avevo la libertà di farlo».

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La Premier inizia con una vittoria sofferta contro lo United

Terry: «C’era anche un lato personale che non credo la gente veda. A volte durante gli allenamenti José, dal nulla, sussurrava “ragazzi, portate tutti i bambini domani”. Sembra una cosa da niente, ma far giocare i miei figli con i figli di Lamps, i nostri figli con i figli di Didier. Tutto questo. Così si crea un legame e ora le mogli gli chiedono “perché porti i bambini?”, “Perché Mourinho ha detto che va bene”. Quindi lo hanno adorato dal primo istante».

Alla prima giornata di Premier arriva la prima vittoria contro il Manchester United. Per Mourinho, «la prima partita in casa non è stata una bella prestazione. Non bisogna iniziare la stagione perdendo in casa contro un avversario. Quella partita non è stata il Chelsea che saremmo diventati in seguito, ma era il Chelsea che volevo, con quella resilienza, con quello zero errori difensivi. Se non vinciamo, non perdiamo. Se segniamo un gol, vinciamo. E quella è stata una questione mentale. Abbiamo segnato e arrivederci, fine. Tre punti, un grande impatto».

Contro il Blackburn una battaglia nel fango:
«Alla fine della partita, ho capito che questa non era una squadra di calcio, ma un gruppo di gladiatori. Un gruppo di combattenti. Non importava se c’era fango o una bella giornata, eravamo pronti a tutto. Sotto la pioggia e i tuoni, c’erano i tifosi del Chelsea. Quindi, alla fine della partita, quando ho detto ai ragazzi di togliersi le maglie, avevo un duplice obiettivo. Primo, le maglie per i tifosi, perché per loro significavano molto. E secondo, mostrare loro chi sei. Mostrare il tuo corpo, mostrare la tua forza. Certo, a quei tempi non tutti avevano addominali scolpiti come oggi. Ma non importava, senza addominali scolpiti, dimostravi di aver messo tutto il tuo corpo in quella lotta. Quindi questo significava molto».

Il Chelsea conquista la sua prima Premier in 50 anni il 30 aprile 2005. Terry ricorda questi momenti: «Abbiamo festeggiato in campo e nello spogliatoio, ma dopo è stato tutto molto surreale. Qualche sera dopo abbiamo giocato contro il Liverpool in Champions League. Così siamo rimasti in trasferta, ci siamo bevuti una birra in hotel. Abbiamo festeggiato sull’autobus, ma nessuno beveva. Siamo tornati, abbiamo cenato e quella sera eravamo tutti a letto a guardare Match of the Day, e alle 23 già dormivamo».

Mourinho: «Quando fai qualcosa che diventa iconico per il club, quanti titoli di Premier League ha vinto il Chelsea? Credo cinque. La gente parla solo di quella vittoria. Quello è Il Titolo. Non è il nostro secondo, né il mio terzo, né quello di Ancelotti. Quello è il titolo che la gente ricorda in tutte queste partite. È la prima volta, è l’inizio dell’era Abramovich, è l’inizio di quel periodo».

Il triplete sfumò per un “gol fantasma”: «Avremmo potuto vincere anche la Champions League. Perché abbiamo perso la Champions League con un gol che non era un gol. Un gol che con la goal-line technology non sarebbe mai stato convalidato».

Il record ancora imbattuto di 15 gol subiti in tutta la stagione

I 15 gol subiti dal Chelsea in tutta la stagione di Premier League rimangono un record, e includono una serie di dieci partite consecutive senza subire gol.

I tre parlano anche di Roman Abramovich, allora da poco presidente e proprietario del Chelsea. Lampard ricorda così la sua presidenza: «Roman non comunicava molto. Era più un sorriso e un coinvolgimento totale. Ricordo i primi tempi in cui veniva nello spogliatoio praticamente a ogni partita, era molto presente praticamente in ogni partita. Sembrava che lo vivesse. E sentivi il suo supporto. È sceso in campo col Bolton per il culmine di quell’anno ed è stato fantastico essere lì in campo con un proprietario per il quale la gente nutriva grande rispetto».

Mourinho: «Eravamo io e Peter Kenyon. Con Roman al comando. Roman voleva sapere, capire, imparare. Perché era il suo inizio. ‘Perché Drogba e niente Hasselbaink? Perché Ricardo Carvalho e non un altro giocatore?’».

Sono passati 20 anni da quando il Chelsea di Mourinho ma lui e i suoi giocatori ricordano quanto fosse forte quella squadra… e forse lo è ancora.

Mourinho: «Uno dei giocatori del 2004-05, qualche settimana fa, quando il Chelsea ha giocato contro l’Arsenal. Uno di loro mi ha scritto un messaggio. Non vi dirò chi è, ma il ragazzo ora ha, dico, 45 anni, più o meno. Hanno tutti più o meno 45 anni. E uno di loro mi ha scritto, non era John o Frank, e mi ha detto ‘capo, se riunissi la squadra del 2004-05 e andassi in ritiro per due settimane, batteremmo l’attuale Chelsea’. Certo, era uno scherzo. Ma questo era un messaggio che diceva che eravamo così bravi, eravamo così forti che a 45 anni ci alleniamo per due settimane e battiamo l’attuale Chelsea. Tra noi, siamo ancora quella squadra».

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