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Simone Inzaghi ormai è un’opera di Marina Abramović, siamo preoccupati per lui

Esplorazione dei limiti del corpo, della mente. Proteste, sfoghi, evasioni dall’area tecnica, rimesse laterali. È diventato immarcabile. Aiutiamolo

Simone Inzaghi ormai è un’opera di Marina Abramović, siamo preoccupati per lui
nter Milan's Italian coach Simone Inzaghi reacts during the Coppa Italia second leg semi-final football match between Inter Milan and AC Milan at the San Siro stadium in Milan on April 23, 2025. Piero CRUCIATTI / AFP

Simone Inzaghi è ormai una performance avanguardista. Che rincorra un arbitro, che misuri col metro da sarta le rimesse laterali, che faccia parkour scavalcando la sua zona d’interesse (“l’area tecnica”, la chiamano), o che sbraiti in faccia al quarto uomo che lui l’elemosina del recupero no, non l’accetta, ecco: Inzaghi è un’installazione di Marina Abramović. Esplorazione dei limiti del corpo, della mente e dell’interazione con il pubblico. Da manuale d’arte.

Siamo preoccupati. Per l’uomo Simone, per la sua difficoltà ormai tattile nel maneggiare l’equilibrio temperamentale. In campo è immarcabile. Rimbalza qui e là come Chobin (ve lo ricordate Chobin?), invadendo, inveendo, indicando. Poi è costretto a rinsavire, a trasmutare, per impostarsi compunto, in ordine per i microfoni. Afono perlopiù, con l’espressione sterilizzata di chi trattiene dentro di sé lava e lapilli, lacrime e sangue. Lacrime soprattutto. Non è una traduzione banale: serve abnegazione, allenamento, per rintuzzare così. Incassa, a volte si tradisce. È doloroso.

I risultati poi sono quel che sono, se siamo qui a scriverne. Diventa tutto “virale” un attimo dopo, un meme su Tik Tok. L’allenatore dell’Inter ridotto a Ballerina Cappuccina o una qualunque delle medesime idiozie: scene che non vorremmo mai vedere su un campo di calcio, avremmo detto qualche anno fa.

E quindi: il gol di Orsolini, i 12-13 metri. E la rimonta del Parma. E i cambi sconsiderati. L’aggressione – senza espressioni ingiuriose, sia chiaro – all’arbitro Chiffi, contro l’Udinese. «È fallo! è fallo!». E il recupero no, non lo devi considerare. Sbuffi di nevrosi. Sfiati. È una sintomatologia. Inzaghi sta pericolosamente accelerando verso il burnout, l’esaurimento emotivo e fisico. Il triplete era lì, un attimo fa: invece il Napoli li ha raggiunti in campionato, il Milan li ha buttati fuori dalla Coppa Italia, e in Champions li aspetta al varco il Barcellona, mica il Monza (che pure pure, il Monza…). Il futuro è uno strale d’incognite, una vessazione. È comprensibile che Inzaghi manifesti un certo disagio, se ci passate l’eufemismo. Soprattutto se chi t’insegue – Conte – è il venerato maestro dell’alta pressione: lui regge, gli altri bum, pure chi gli è prossimo, scoppiano.

Aiutiamo Simone Inzaghi. Lasciamolo libero di muoversi a piacimento per il campo, magari; come le galline allevate a terra. Sopportiamone sermoni e sfoghi. Amnistiamone gli eccessi. Non vuole il recupero? Niente recupero. Non era fallo, quello? Va bene. Per le rimesse laterali magari usiamo la var a chiamata: al suo buon cuore. Mister, ci dica lei. Non c’è problema, davvero. Sono pure giorni particolari, questi.

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