Per scaramanzia, fino a quel giorno me l’aveva sempre negata. La partia trasmessa in tv e guardata da tutto il quartiere. Poi la festa
La scaramanzia
La mattina dal Vico Vasto a Chiaia alla Villa Comunale ci volevano dieci minuti. Io ero piccolo, e mi fermavo sempre con mio padre e mio fratello a giocare con un super santos. Altri tempi. La Villa era gigante, negli occhi di un bambino. Attirava la mia attenzione, una bancarella con le bandiere del Napoli, ed io ogni volta insistevo perché ne volevo una grande, con delle coppe sopra e un simbolo strano con il tricolore. “No, a papà è presto, non ora”. Non capivo, e ci rimanevo male. Presto per cosa?
La festa della mamma
La scaramanzia era un elemento fondamentale che avrei acquisito con la crescita, e la maturazione, da buon partenopeo. La domenica, impacchettammo il regalo a mamma, era la sua festa, la seconda domenica di maggio. C’era a casa un’adrenalina unica. Si respirava l’odore del classico ragù, zompavano i canarini nelle gabbie, e addirittura si fermarono per l’evento nuvole bianche in un cielo terso, per partecipare alla coreografia del secolo. Mio padre non c’era, era uscito da solo, forse a prendere il pane, e lo aspettavamo per fare il giro domenicale. Ritornò, ed in mano aveva quella bandiera, enorme, con le coppe e quello strano simbolo con i colori dell’Italia. Rimasi sorpreso, quindi il momento era arrivato? La presi e l’attaccammo alla finestra.
Tutto il quartiere guardava la partita in tv
Il vicolo era zeppo di bandiere, che rumoreggiavano di attesa. Io avevo la mia che si atteggiava, azzurra con quel simbolo che ondeggiava a tocchi lievi di fruscii di vento. Napoli non aveva dormito. Io ero stordito, ero riuscito a nascere nel periodo più bello della città, dopo quello borbonico si intende. La partita la trasmisero in tv, una rarità per l’epoca. Si poteva anche tenere il volume basso, tanto la telecronaca la si ascoltava lo stesso, le parole di Pizzul arrivavano da ogni dove. Uno due, Carnevale per Giordano, tacco del nove, Carnevale, goal. Uno a zero. Mi ritrovai a volare letteralmente, gli occhi lucidi di mio nonno non me li scordo, volai e saltai per la casa. Un boato, la mia bandiera fiera si allungava come per abbracciare tutte quelle di lato, di fronte.
Da Vico Vasto a Chiaia alla Villa Comunale
Napoli in vantaggio la frase più bella che un tifoso possa ascoltare. Napoli uno Fiorentina zero. La Fiorentina che pareggiò con una tale promessa di nome Roberto Baggio, e si salvò. Ore 17.47 triplice fischio dell’arbitro Pairetto, Napoli campione d’Italia. La storia volle una data, non a caso, il numero del giorno dei giorni doveva essere il 10 del mese che iniziava con Ma perché lui e solo lui ha saputo porre nel petto di ogni partenopeo l’orgoglio di sentirsi padroni di una nazione che ha sempre giocato con i rami che, volgevano contro il mezzogiorno.
Da quel giorno in poi, nulla è stato più come prima, Napoli si iscriveva di diritto nella favola del calcio, con negli occhi una città che festeggiò per settimane, non un titolo sportivo, ma l’emozione di sentirsi meravigliosamente figli dello stesso abbraccio. Dal Vico Vasto a Chiaia alla Villa Comunale ci volevano dieci minuti, dalle 18 e 30 di quella domenica ce ne vollero trecento, perché ogni passo era una fotografia di felicità da memorizzare, trent’anni dopo, ancora l’anima si commuove al ricordo.