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Torti arbitrali al Milan, ora anche il Giornale piange

Chi piange più forte, ottiene il contentino. Funziona con i genitori e – ahinoi – anche con gli arbitri.
Che il calcio, con la sua capacità di riportare gli adulti allo stato infantile, sia un fenomeno strano è cosa nota. Ma ciò non è vero solo quando padri di famiglia o uomini che da tempo hanno superato gli “anta” perdono ogni contegno al vedere un pallone che rotola sul prato. L’assunto vale ancora di più nel suo riabilitare a tutti i livelli quella che è la principale arma di contrattazione dei bambini: il piagnisteo sfrenato protratto fino al tracollo della capacità di sopportazione dei genitori. Giocatori, allenatori, dirigenti, pubblico. Tutti sanno che lamentandosi, rivendicando, questuando, possono strappare qualche vantaggio dalla classe arbitrale. E’ una regola antica, da sempre valida, cui nessuno si sottrae. Anche il nostro Walter, quando era ancora mister della Sampdoria, piantò una polemica infinita contro l’arbitro Tagliavento in seguito al Samp – Napoli dello ’08 -’09 (la ricordate la partita, vero?) per la mancata espulsione di Santacroce e per il presunto fallo di Denis sul proprio marcatore (forse proprio Campagnaro) in occasione del goal del definitivo pareggio.
La stagione in corso non è da meno. Ma il vero problema non è che ci siano così tante ‘polemiche arbitrali’, quanto piuttosto l’appurare che il giochetto funziona. Per quante polemiche risultano sterili, altrettante raggiungono lo scopo. Il contentino, alla fine, arriva e il napoletano ‘chiagne e fotte’ da prassi diventa regola.
Zamparini tuona mezzo stampa ‘arbitri, ora basta’? Ed ecco contro la Juve sfugge un fallo di mani in area. Marotta si sente perseguitato e se ne lamenta pubblicamente? Ecco che contro il Cagliari un fallo di mischia annulla il possibile goal del pareggio. I tifosi dell’Inter inscenano una pañolada improvvisata? Ecco, chissà che in futuro non ne venga qualcosa. La consequenzialità tra la protesta e la successiva benevolenza è indimostrabile, ma chi vive di calcio sa che si tratta di una possibilità assai concreta.
L’ultimo piagnisteo, in ordine di tempo, viene dall’editoriale di Franco Ordine sulle pagine sportive del Giornale dell’8 febbraio. ‘Vuoi vedere che il caso Ruby sia arrivato sui campi di calcio?’ si chiede il giornalista. A suo avviso tre indizi (la frettolosa espulsione di Van Bommel contro il Catania, il mancato cartellino rosso a Kozak e la punizione generosa dalla quale origina il pareggio del Genoa) dimostrano che gli arbitri tramano contro il primato del Milan, col sospetto che i giudici di gara siano influenzati dai gossip erotico-politici che stanno travolgendo il premier. Sorvolando sul parallelo storico che chiude l’editoriale (un riferimento alla stagione ’89-’90, i cui esiti, secondo Ordine, furono determinati dal lodo Mondadori – ma è un caso che col Napoli secondo si ritorni in maniera velata alla monetina di Alemao?), è chiaro che il pezzo si inscrive nel filone della lacrimuccia inviperita che altro non chiede se non maggiore considerazione dalla classe arbitrale.
Dal momento che a Franco Ordine piace buttarla in politica, lo facciamo anche noi. E se la riforma della giustizia è all’ordine del giorno, lo sia anche quella della giustizia sportiva, con gli arbitri posti nelle stesse condizioni dei pubblici ministeri: responsabili dei propri errori, ma indipendenti. Soprattutto dai piagnistei di chi va in freva.
di Roberto Procaccini

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