Milan-Napoli l’ho vista nel mio luogo di origine, il Sannio.
I napoletani, quando gli si parla della provincia di Benevento mi dicono sempre: “ma fa freddo lì in montagna?” Puntualmente rispondo che non è montagna, salvo una piccola parte della provincia. È collina, 200/300/400 metri; addirittura Benevento è a soli 150 metri. Nel Sannio il clima è favoloso e il paesaggio collinare è molto riposante.
Dopo questa premessa pubblicitaria, che completo con l’invito ai napoletani a una gita fuori porta nel Sannio, passo alla cronaca della serata.
La famiglia è riunita da mio fratello. Oggettivamente (non perché deriviamo dallo stesso stipite) è una gran brava persona, ma ha un grave difetto: è juventino. Può succedere anche nelle migliori famiglie.
A pranzo era già iniziato il solito cazzeggiamento. Mio fratello, quando eravamo ancora ai “cecatielli” al ragù, apre le ostilità: “alla mia televisione ho fatto aggiungere un meccanismo che non permette di vedere le partite del Napoli”. Non è tanto in forma: altre volte la sua ironia ha prodotto qualcosa di meglio. Si vede che è tanto avvilito dal campionato della Juve da assumere un atteggiamento prudente. Quindi non spinge sull’acceleratore: non se lo può permettere!
Siamo davanti alla tv. Salto la cena (solo un po’ di frutta), perché non ho ancora digerito la “carn’ e pepazz’“. Carne di maiale (della parte che si usa per fare le salsicce) a tocchi tali da farne un sol boccone e quelle che a Napoli, se non ricordo male, si chiamano “papaccelle”. Il tutto fritto in padella con il grasso stesso della carne. Colesterolo puro! Se ne può assaggiare solo un po’, se non si vuole rischiare una colica epatica. Ma io ho esagerato, visto che ormai capita raramente di mangiare questa delizia della cucina contadina della Campania interna.
E che vuoi fa’?! Mi piace assai!
Sprofondo su una poltrona.
Calcio d’inizio. Sono teso: temo la disfatta ma spero nella gloria.
I primi venti minuti li passo in attesa. Il fratello juventino accenna un commento: “la vedo brutta”. La vedo male anche io: Napoli contratto, errori da giovanotti di prima categoria in ogni parte del campo, lanci lunghi come il Napoli di Reja, quello con “Sosa il vecchio” lì davanti, per di più su una campo fradicio per la pioggia. Fortunatamente, il Milan, solido ed energico in difesa e a centrocampo, in avanti pare asfittico. Impongo al fratello traditore del senso di appartenenza territoriale la mia visione speranzosa: “il Napoli sta prendendo le misure, sta coperto; certo è un po’ teso, ma è tutta ‘na tattica”. Sorride beffardo, ma non si azzarda a commentare. Ripeto: quest’anno non se lo può proprio permettere.
Passano i minuti e le mie speranze svaniscono. Il fratello prende coraggio: “stasera siete come noi contro il Napoli”. Quanto mi dà fastidio che quell’uccello del malaugurio abbia anche azzeccato il risultato finale.
Alla fine del primo tempo penso, ma non lo dico, che è andata bene ma non durerà. Dopo il primo goal resto in silenzio. Le difficoltà di digestione – della “carn’ e pepazz’” o della partita del Napoli? – mi hanno annichilito. Per proteggermi dalla mia eccessiva sensibilità di tifoso, penso al peggio, così alla fine non ci resto troppo male.
Ma al goal di Pato, una lezione di calcio, non ce la faccio più. Prima che mio fratello si azzardi a un qualsiasi commento, scarico la mia rabbia repressa per tutta la partita contro giocatori, allenatore e presidente, non dimenticando i due direttori, generale e sportivo. Cerco di non scordare l’educazione e mi limito a “incapaci” e “cagasotto”. Ma un paio di sonori “vaffa” non riesco proprio a trattenerli.
Faccio un giro per la casa, fagocito un babà che proprio non doveva finire nel mio stomaco già stressato. Guardo il resto della partita, sperando in uno scatto d’orgoglio per almeno il goal della bandiera. Niente! Lo juventino, come me, sta zitto. Non c’è certo bisogno di parlare: ha detto tutto il campo.
Aspetto oggi per sfogare sul Napolista i residui dell’intossicazione, togliendo un po’ di tempo al lavoro. È indispensabile: ancora non ho digerito; la “carn e pepazz’” o l’umiliante sconfitta?
di Giovanni Mastronardi
Non ho digerito la “carn e pepazz’” o la sconfitta?
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