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Auguri, Napolista, culla razionale e anarchica di Fabrizio d’Esposito

Auguri, Napolista, culla razionale e anarchica di Fabrizio d’Esposito

Nei nostri “altrove” sospesi in una dimensione senza tempo ricorderemo a lungo la festa per il primo compleanno del Napolista.

Io ero talmente sospeso che ho infranto senza pensarci, con un pezzo di pizza al prosciutto, la mia astinenza dalle carni nei venerdì di Quaresima. Così per riparare cerco rifugio in una sublime intuizione di Erri De Luca: Napoli controfigura di Gerusalemme perché come recita il profeta Ezechiele la città è la pentola e noi siamo la carne.

Ecco, il Napolista è bacio carnale a una fede.

Il Napolista è stato concepito in un esilio autostradale ed è nel suo piccolo, per rimanere nella metafora biblica, un modo laico per rispondere all’invocazione del famoso salmo sugli ebrei deportati a Babilonia, il 136: “Come cantare i canti del Signore in terra straniera?”. In fondo il primo presidente del Napoli 1926 è stato un ebreo e questo qualcosa significherà. Un salmo calcistico, e non solo, che vale per tutti: per i napoletani rimasti e che si sentono in esilio in una città che sempre più non riconoscono, e per quelli andati via o fuggiti secondo l’anatema eduardiano. Nel corso di questo primo anno, pur non dando lo stesso impegno e la stessa passione di Max e Gianluca, ho immaginato il Napolista come un quadrante di Bellavista, in cui attorno ad ascisse ed ordinate si radunano napoletani di città e di provincia, napoletani rimasti e scappati. Io appartengo all’ultima: emigrante di provincia.

Un napolista napolide (sempre De Luca) che rispetta “il diritto di rigurgito che la città applica a chi se ne allontana”. Questo sito è una culla razionale e anarchica, unico nel suo genere. Razionale perché non spariamo i fuochi d’artificio e balliamo la tarantella dopo ogni vittoria, come imporrebbe una certa oleografia che affascina ancora personaggi come Ilaria D’Amico, e perché sappiamo che DeLa non capisce nulla di calcio. Per noi Diego non è stato ottuso e facile oppio dei popoli. Anzi, seguendo la lezione di quel genio pessimista di Compagnone, non ci piace quel popolo che si aggrappa alla palla per dimenticare i guai e tutto il resto. Almeno per me Diego non è stato San Gennaro, né Masaniello.

Pur con i suoi limiti, il Napolista è quotidianità di rabbia e speranza. Così intendo la campagna dell’asse Ilaria-Lisa sulla munnezza, e che ha realizzato l’acuto augurio che ci fece Antonio Polito, allora direttore di me e Max: “Quando farete parlare d’altro i tifosi, non solo di calcio, allora sarete sulla buona strada”. Ed è per questo che il suffisso “ista” presuppone un’inclinazione trasversale, se non anarchica. Ho litigato varie volte con Max. Spesso nelle sue opinioni è di una radicalità estrema ma non gli ho mai visto censurare nessuno. Per fortuna, però, i lumi della ragione hanno dei limiti. E lì subentra lo stupore dell’amore.

Il Napolista è quell’emozione che proviamo ogni volta che sbuchiamo al San Paolo e il colore e il rumore della folla ci stordiscono insieme con il verde del campo. Siamo partiti che avevamo in mente alcune firme e rubriche e invece ne sono venute fuori delle altre, come quando la curiosità dell’ignoto si trasfigura in bellezza concreta: Carratelli e Liguoro, due grandi nomi del giornalismo nazionale; scrittori del calibro De Giovanni; politici e accademici come la Bossa e Trombetti (cui rinnovo le mie scuse e la preghiera di ritornare a fare le pagelle); le rime del Vate; il dialetto di Brak; le ricette e non solo di Pedersoli, che venerdì sera mi ha riferito una sua idea strepitosa: raccogliere in volume non gli articoli del Napolista ma i post; infine l’intimismo azzurro di Trapani, che voglio citare perché è un mio paesano. Concludo con l’immagine iniziale dell’altrove.

Il Napolista è un ristoro al pendolarismo impastato di anima e autostrade e treni. Lo spunto me l’ha dato alla festa Luca Maurelli, che per sette mesi ha fatto avanti e indietro ogni giorno tra Roma e Napoli. Adesso che è ritornato il conservatore azzurro della Cassia, mi ha detto: “Non ero più niente”. Il Napolista è finanche argine a questo niente. Un modo per amare questa città. Ce ne sono tanti, nonostante tutto. Uno l’ho vissuto proprio a congedo della festa di compleanno. Avevo parcheggiato la macchina ai piedi della scala dei Salesiani, in via Scarlatti, quasi in curva. Aspettavo Trapani e la strada era bloccata da un camion della spazzatura. E’ arrivata un’auto di grossa cilindrata, guidata da un signore sulla sessantina: per evitare l’ingorgo ha messo la retromarcia, tamponando una vettura dietro, con quattro ragazze a bordo. Quella che guidava, bionda e pienotta ma piacente, è scesa e ha gridato: “Signore forse non se n’è accorto ma mi è venuto dentro”. Un lapsus carnale, come il Napolista.

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