«Scudetto al Napoli, quarto posto e Champions alla Lazio». Così la pensa Edy Reja alla vigilia di Napoli-Lazio. Un tecnico ancora amato nella città partenopea. L’ultima traccia, quella che non andrà mai più via: il ricordo. Edy Reja la persona perbene. L’uomo stimato anche più dell’allenatore. Modi garbati, un sorriso per tutti, il piacere di star lì a fare quattro chiacchiere. La prima volta fu a Gricignano, il Napoli si allenava lì. Trovò un pretesto, si fermò davanti allo spogliatoio, raccontò dei suoi ulivi malati a Lucinico.Sapeva bene che nessuno ne capiva nulla, però così faceva gruppo. E univa. Sessant’anni quand’arrivò. Mascella da finto duro, capelli brizzolati e passo deciso. Spuntò da un curvone del lungomare una mattina di sole gelido. Era gennaio. I titoloni dei giornali l’avevano preceduto: era lui l’allenatore giusto di quel Napoli. Esordio a Padova col Cittadella, vittoria per 3-1. Segnò capitan Montervino. Una scalata rapida dalla C all’Europa. Entusiasmante. Un paio di volte, però penso di mollare. Quella domenica era arrabbiato davvero: De Laurentiis era andato oltre, il pari 2-2 con la Lazio non gli era andato giù, stavano finendo alle mani. Reja si rifugiò in camera, voleva andarsene, lo calmò la sua Livia. Il giorno dopo, scuse reciproche e subito al campo che c’era la doppia. Quattro anni e qualche mese. L’Holiday Inn di Castelvolturno, la sua casa. Stanza numero 505. L’arredò personalmente: quadri alla parete e un veliero enorme sul mobile. La vita, tutta là: albergo e campo. E la chiesa del Villaggio Coppola per la messa il sabato sera. Abiti casual, solitamente. Spesso anche in tuta perché stava comodo. Eppoi quella divisa sociale proprio non gli piaceva: la cravatta tagliata dritta sotto, non la concepiva. Meglio quel giubbetto di pelle comprato da un amico a Pianura.
Giornate lunghissime, 24 ore tout court per il Napoli. La sveglia alle sette ogni mattina: cornetto, cappuccino e giornali. Gli occhialini sempre portata di mano, l’ottico di fiducia era in Via Monteoliveto a Napoli. «Non l’abbiamo dimenticato, facciamo sempre il tifo per lui, domenica però ci giochiamo lo scudetto. Il mister capirà…» , i camerieri al bar dell’albergo, una famiglia. Sempre loro, a pranzo e cena. Menù leggero, unica concessione un goccio di rosso e aglio e cipolla a volontà. Il rombo con le patate, il piatto preferito. Tartufo e cioccolata, il dolce. Per digerire, un po’ di grappa con un biscottino vicino. La hall dell’albergo, il camino, i tavolini dove giocava a burraco, il negozio de i carangio per la mise da golfista: guanti, t-shirt e scarpe. Se la cavava benino sul green, si rilassava. La Napoli di Reja. Non c’è ancora tornato dall’addio, neppure in vacanza. Il suo ciclo era finito. L’aveva capito, glielo disse il campo. La Lazio aveva sbancato il San Paolo. Fischi, delusione e ruzzolone giù in classifica. Si arrese. Una stretta di mano e via da amici, senza badare troppo ai contratti. «Ci rivedremo, però». Eccolo. Torna domenica. E proprio sulla panchina della Lazio. Che beffa il destino. A Napoli ho lasciato un pezzo di me. Sono legato a tutti, dal presidente a tanti della squadra». Nostalgie e ricordi. Storie di vita. E di successi. Pure quell’anno aveva vinto «l’Oscar Campano».
Fu un plebiscito di voti: doveva ritiralo, sarebbe stato il quarto, è ancora là. E ferma ci rimase per un po’ nel garage anche la sua «Nissan Note» . A Lucinico andava in Mercedes e guidava un furgoncino a tre ruote azzurro. Qui aveva l’auto aziendale. Sennò c’era Peppe Spinosa, la persona di fiducia. Edy Reja e i napoletani, una cotta da subito. I vicoli del centro, i palazzi d’epoca, l’arte dei decumani, gli spettacoli al teatro «Bellini» , i sapori della tavola. La carne la mangiava alla «Fattoria del campiglione» a Quarto. Vino rosso rigorosamente. Il bianco lo beveva invece alla «Lanterna del porto» alla darsena del Villaggio Coppola. Tavolo prenotato il martedì. I collaboratori tutti invitati. E se alla domenica si vinceva, guai a cambiare posto. I due Enzo, il proprietario e il cameriere, gli servivano il pesce: pezzogna al sale la preferenza. Sennò la spigola. Per vino, solo «Jerman» , un bianco friulano. Le sue origini a tavola. Reja il goriziano-napoletano.
Francesco Modugno
(corriere del mezzogiorno.it)