Mezzogiorno (e mezzo) di fuoco sulle sponde del Tevere. Lontano dal solito bar, per i troppi laziali smaniosi, occhi fissi sul televisore in un tinello neutrale. La voce dei cronisti rimbomba, amplificata attraverso i tanti balconi aperti per il caldo inatteso. Il copione del primo tempo sembra scritto da un giallista classico: fatti e situazioni messi in fila per il lettore, che deve crederli definitivi. Poi si vedrà nel finale. Ma intanto la Lazio segna due volte e dai balconi escono come lava vulcanica le grida romanesche di euforia trasteverina. Sul due a zero, la mente si apre a strani giochi, portando a galla sensazioni incapsulate nella memoria. La prevalenza della Lazio fa rivivere un dimenticato senso di angoscia: il Napoli di Vinicio, Di Giacomo e Novelli, primo e imbattuto, sconfitto all’Olimpico con quattro gol della Lazio. Le urla dei tifosi di oggi sono il prolungamento del tripudio laziale di ieri. Morale a pezzi. Ma la ripresa porta in campo un Napoli diverso. 2 a 1, 2 a 2. Altro corto circuito: rivedo il pareggio per 3 a 3 al san Paolo. Lazio lanciata verso l’alto della classifica ma Napoli che non si arrende. Ecco i gol di Chinaglia, e quello di Juliano. Ed ecco, in un’altra partita, il gol di Damiani agli sgoccioli, buono per togliere ai bianco-celesti ogni speranza di scudetto. Che groviglio di immagini. Mi concentro sul televisore. E vedo un Napoli da combattimento, una fionda azzurra che sgretola i sogni dei romani. Puntuale, un’altra sensazione già vissuta. Pomeriggio di primavera, 2 a 1, gol di Mike e Amadei, ultimi anni ’50, pantaloni alla zuava. Poche auto in giro. Un fiume di gente esce dallo stadio Vomero e si incanala in discesa per l’Arenella e Salvator Rosa. Tutti cantano senza sosta un salmo sportivo: “povera Lazio, ora pro nobis…” , seguendo una bandiera azzurra. Ora dai balconi aperti arriva il mugugno sonoro dei tifosi laziali, dopo il clamoroso 4 a 3. Mi affaccio, invano trattenuto. E intono ad alta voce: “Povera Lazio, ora pro nobis…”. Mimmo Liguoro
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