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Aprite il settore ospiti del San Paolo ai napoletani

Che partita domenica. E che san Paolo, colmo, anzi stracolmo, in ogni ordine di posto. Che immagine quella distesa uniforme di braccia alzate al cielo, di sciarpe azzurre e di bandiere al vento. Uno spettacolo unico, eccezionale, oramai raro in un’Italia dove gli stadi non si riempiono più se non nelle partite di ultra-cartello. Basti pensare al san Siro di Milano, che registra il tutto esaurito solo nei due derby e nelle partite di Champion’s (quelle a eliminazione diretta, però, perché il girone è ormai troppo banale). Però, c’è un però. Perché il san Paolo non riesce a trovare pace neanche nelle affollate domeniche di festa. Oltre la manutenzione, i bagni, i tabelloni, i tornelli, è afflitto da un altro tormento. Il suo abbraccio alla squadra è infatti squarciato da un vuoto, inutile nelle sue dimensioni, brutto nella sua gabbia, vanamente sovradimensionato: il settore ospiti. Passi il terzo anello, recintato e abbandonato a se stesso. Ma che senso ha un settore ospiti così grande? In Italia da alcuni anni si è intrapreso un percorso ben preciso. Senza voler entrare nel merito della sua condivisibilità, l’obiettivo prefissato dal legislatore è quello di disciplinare la frequentazione degli stadi da parte dei tifosi di casa e sostanzialmente disincentivare l’afflusso di quelli della squadra ospite. In parole povere: niente (o meglio poche) trasferte. Ce ne accorgiamo noi stessi: al san Paolo, fatta eccezione delle gare con Liverpool e Juventus, non mi sembra che nessuna altra squadra abbia portato tanti tifosi da doverli collocare nell’anello superiore. Di solito il tutto si riduce a poche decine, nel migliore dei casi qualche centinaio, di persone stipate nell’inferiore, spesso invisibili al resto dello stadio. Hanno concorso a tutto ciò la tessera del tifoso che taglia fuori le frange oltranziste (quelle che costituivano lo zoccolo duro del tifo in casa e in trasferta), le pay-tv che impigriscono i cuori e l’affermarsi di una certa cultura della paura che vede nello stadio il luogo insicuro per antonomasia. Bene o male che sia, prendiamone atto. E restituiamo uno spicchio di san Paolo ai napoletani. Riflettiamo sui numeri. Il catino di Fuorigrotta è attualmente omologato per 60240 spettatori, mentre l’Uefa impone che ai tifosi ospiti vengano concessi (per lo meno) il 5% dei sediolini totali. Ciò vuol dire che a Napoli il relativo settore deve contare almeno 3012 posti; attualmente consta di 4000: ci sono circa 1000 biglietti da redimere a favore dei supporters azzurri. I margini di manovra non sono ampi. Il settore ospiti, sebbene simmetrico alla tribuna laterale, per le solite ragioni di sicurezza ha una capienza molto ridotta (i 4000 posti cui si è fatto sopra riferimento contro i 10118 della laterale), cosa che non permette, se non al costo di  chissà quali adeguamenti, quella che per me sarebbe la soluzione ottimale: confinare nell’anello inferiore gli ospiti e ricavare nel superiore una nuova tribuna azzurra. L’attenzione deve allora rivolgersi a un espediente secondario, ma comunque efficace. In curva A è stato ricavato un corridoio di sicurezza per tenere a distanza potenziali facinorosi dai tifosi ospiti, il quale sottrae al settore popolare circa 1000 posti (la curva A risulta infatti omologata per 13620 spettatori contro i 14609 della B). La conclusione più ovvia, non potendo fare di meglio, è allora spostare la zona cuscinetto a discapito del settore ospiti (che, pur perdendo mille posti, rimarrebbe a norma) in modo da recuperare il posto per mille supporter napoletani in curva A. Osservatorio, Prefettura, Assessorato allo Sport e Giunta comunale, Società Calcio Napoli: non sono poche le teste da mettere d’accordo per portare a compimento un’operazione del genere, ma ne vale la pena farlo. Non solo per il colpo d’occhio, ovvero per riconvertire una fetta di stadio grigio-cemento all’azzurro-Napoli, ma anche per gli incassi. Si tratta pur sempre di mille biglietti in più per le partite di campionato e coppa, e si sa che dove non arriva il buon senso, arriva la pecunia: c’est l’argent qui fait la guerre. Ps: reperire i dati sulla capienza dei settori non è stato affatto semplice. Dovrebbero essere aggiornati, ma non ci posso mettere la mano sul fuoco. Si consideri un possibile margine d’errore. di Roberto Procaccini

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